mercoledì 21 marzo ’18

    5.a settimana di Quaresima

     

    nell’immagine La Primavera di Sandro Botticelli è un dipinto a tempera su tavola (203 x 314 cm) , databile tra il 1478 e il 1482 circa.

     

    Proverbio del giorno

    «Dove parla l’oro, tutto tace (Qatar)»

     

    Iniziamo la giornata pregando (S. Nicola di Flue)

    “0 mio Signore e mio Dio, allontana da me tutto ciò che mi allontana da te. – 0 mio Signore e mio Dio, elargiscimi tutto ciò che mi porta più vicino a te. – 0 mio Signore e mio Dio, liberami da me stesso e concedimi di possedere soltanto te”.

     

    NICOLA DI FLUE

    gode di larga popolarità nella Svizzera, dove nacque nel 1417 a Fliieli, presso Sachseln, nel cantone di Obwalden. Benché si sentisse chiamato alla vita eremitica, dovette accettare alcune cariche civili e militari. Nel 1445 si sposò con Dorothea Wyss: nacquero loro cinque maschi e cinque femmine. Solo dopo aver compiuto i 50 anni, egli poté ritirarsi in preghiera. La sua santa vita e il suo rigoroso digiuno (per 19 anni e mezzo si alimentò solo dell’Eucarestia) gli procurarono ben presto la curiosità dei vicini. Egli decise allora di recarsi in un burrone solitario presso Flueli. Ne usciva solo per recarsi alla Messa e quando la patria ebbe bisogno di lui: i buoni risultati dei suoi interventi propiziarono a Bruder Klaus il titolo di “Padre della Patria”. Nicola morì il 21 marzo 1487. Beatificato nel 1669, venne canonizzato da Pio XII nel 1947.

     

    La Parola di Dio del giorno (Gv 8,31-42)

    Gesù disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi?». Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenza di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova posto in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro!». Gli risposero: «Il nostro padre è Abramo». Rispose Gesù: «Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo! Ora invece cercate di uccidere me, che vi ho detto la verità udita da Dio; questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero: «Noi non siamo nati da prostituzione, noi abbiamo un solo Padre, Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. 

     

    Riflessione Per Il Giorno (Mons. Ravasi Mattutino)

    Tra gli esseri umani, anche se intimamente uniti, è sempre aperto un abisso che solo l’amore può superare. E solo con una passerella d’emergenza. La citazione è dello scrittore tedesco Hermann Hesse (1877-1962). Ogni persona è un’isola, un mistero a sé stante; al suo interno si apre un abisso che s’allarga anche all’esterno e non può essere facilmente valicato. Ciascuno deve riconoscere di avere questa voragine ove si agitano serpenti e riposano tesori. È un precipizio sul quale passano rari lampi di luce, che sono i nostri esami di coscienza, le confessioni, le confidenze. Per avere un qualche svelamento più vasto è necessaria una passerella sul baratro: su di essa s’inoltra l’amore che è rivelazione, intimità, sincerità. Solo se l’altro – marito, moglie, figlio – ti offre questo ponte, tu potrai varcare quell’abisso e conoscerlo, condividendone le paure, ma anche i segreti dolci e teneri. Questo avviene solo per donazione reciproca, in una comunione di pensieri e affetti, senza calcoli o riserve. Aveva, infatti, ragione Erich Fromm quando, nell’Arte di amare (1956), scriveva: «La maggior parte della gente ritiene che amore significhi essere amati anziché amare». Con realismo Hesse parla non di ponte stabile, ma di «passerella d’emergenza»: è la fragilità che sempre dobbiamo controllare. Amare è, allora, anche saper perdonare e ricominciare.

     

    Intenzione del giorno

    Preghiamo perché non si inganni la gioventù con la proposta di vie facili e soluzioni a buon mercato, ma si abbia il coraggio di insegnare la grandezza e la dignità.

     

    Don’t forget! PRIMO GIORNO DI PRIMAVERA E GIORNATA DELLA POESIA

    Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale

    Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo della vittime della mafia

     

    207° quadro de “i 1.000 quadri più belli del mondo”

     

    BARTOLOMEO MANFREDI: CUPIDO CASTIGATO 1605~10, OLIO SU TELA, 175.3 X 130.6 CM – ART INSTITUTE OF CHICAGO USA

    Il pittore mantovano Bartolomeo Manfredi (1582 – 1622) fu allievo del Pomarancio, pittore tardo manierista attivo alla fine del XVI sec. Appartenne alla corrente dei “caravaggeschi della prima ora”, a cui aderirono i pittori che conobbero il Caravaggio a Roma quand’era ancora in vita e, impressionati dal suo innovativo stile naturalista, ne imitarono i modi. Il quadro di oggi presenta un tema non infrequente nella pittura rinascimentale: il castigo di Eros (in latino: Cupido) da parte di un irato Marte, dio della guerra, di cui Venere (madre di Eros) tenta di contenere la furia. La leggenda vuole che Zeus, ordinò a Venere di sopprimere il figlio dopo la sua nascita, prevedendo i guai che il piccolo crescendo avrebbe causato nel mondo.

    Ma Venere non lo fece e lo abbandonò nella foresta, dove fu allevato dalle belve. Cresciuto, Eros si costruì arco e frecce per incominciare il suo “lavoro”, che fece con spregiudicatezza senza guardare in faccia a nessuno. Per questo nell’antica Grecia il dio dell’amore era considerato autore di ogni bassezza umana. Dai Romani invece Cupido fu apprezzato per la sua sensualità e carnalità e ci volle il cristianesimo per tornare a considerarlo causa di tutti i guai provocati dalla passione sensuale incontrollata (erotismo). Nella versione del Manfredi il castigo è particolarmente duro: il giovane dio è spinto a terra dal padre Marte (si noti il vestito rosso: Marte non è detto il pianeta rosso?) che alza i flagelli per colpirlo senza pietà per le sue malefatte causa di discordie, liti e persino delitti passionali. Una discinta Venere tenta di trattenerlo, ma né il castigo convince il giovane ribelle, né l’amore trattiene l’ira paterna, come dimostrano le colombe della pace che volano via. L’intento moralistico è evidente, ma il pittore non sembra esserne convinto come dimostra l’allusione non priva di malizia alla complice sensualità di madre e figlio. L’opera presenta un’inedita soluzione compositiva nelle figure a triangolo, legate da movimenti agitati e concentrici. Inoltre il dipinto differisce dalla pittura caravaggesca anche per i colori accesi e smaltati, dai contrasti decisi, come nel particolare della fascia blu sul corpo di Cupido e nelle superfici levigate dei corpi.

     

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