quando la morte da spettacolo

    Forse il momento in cui è più evidente lo scollamento che il nostro tempo ha prodotto tra fede e vita, tra realtà e fantasia, tra i fatti (che non contano più nulla) e le interpretazioni…sono i funerali o almeno certi funerali. Questo rito che celebra il distacco definitivo della persona dai suoi cari (dopo il funerale del marito, una mamma disse ai figli: “Questa è la prima notte che vostro padre dorme fuori casa”), che alimenta la speranza e aiuta a gettare uno sguardo sull’aldilà…è l’immagine di ciò che siamo diventati ed è diventato il nostro mondo. Che il prete riesca a mantenere la celebrazione sui binari della fede e della speranza cristiana è difficile, per non dire impossibile nel caso che il morto sia un giovane o una persona molto conosciuta o amata…La sobrietà del funerale come rito di congedo e di affidamento, è travolta da uno tsunami di sentimenti, emozioni, abbracci, lacrime, sorrisi, canzoni, palloncini, sciarpe della squadra del cuore, pupazzetti, poesie, ricordi, applausi che dilagano dentro e fuori chiesa, il tutto mixerato come un cocktail da servire, non al popolo dei fedeli, ma a un pubblico di fans da inebriare. Così la liturgia rimane sullo sfondo e lascia il proscenio allo spettacolo con le sue regole e con slogan più simili a minacce che a promesse: “Sarai sempre nei nostri cuori” … “Non sei morto, ma vivi con noi” ecc. Sarà tutto vero, ma l’esperienza insegna che i pupazzetti e i biglietti degli amici sulle tomba del giovane durano poco: sarà infatti la fedeltà dei genitori a tenere accesa la fiammella e a rinnovare l’omaggio floreale per anni, come simboli di un amore che neppure la morte riesce a spezzare.

    Nei ricordi poi che si leggono a fine rito, non affiora il minimo dubbio sul fatto che il defunto sia in paradiso: il “Santo subito” gridato dalla folla alla morte di Papa Giovanni Paolo II ha fatto scuola e il pensiero che anche il caro estinto come tutti i comuni mortali abbia bisogno della misericordia di Dio, appare irriguardoso per non dire offensivo. Ancora: è umanamente comprensibile che siccome il protagonista (il morto) non può più parlare di sé, gli altri, i vivi sentano il bisogno di parlare di lui e al suo posto, ma la cosa andrebbe fatta con discrezione, pudore e non impedendo di parlare a Dio, l’unico che ne ha il diritto, perché conosce il morto meglio di tutti, lo ama più di tutti ed è il solo ad avere Parole di Vita Eterna. Stupisce poi il fatto che la persona cara da cui nessuno sembra volersi separare, sia sempre più spesso destinata alla cremazione: questa fretta di liquidare il cadavere è sospetta…non è che l’eliminazione del gesto della sepoltura nella sua spietata evidenza (“ricordati uomo che sei polvere e in polvere ritornerai”) sia un modo di proteggere chi rimane dal dover riflettere che la vita finisce -e tragicamente- sotto terra? Il sospetto purtroppo è che una volta eliminata la fede sia inevitabile eliminare anche la morte o tentare almeno di nasconderla…ci stiamo poco a poco riuscendo e se l’andazzo delle ceneri sparse tra montagne e fiumi prenderà piede, non ci vorrà molto perché scompaiano anche quei luoghi della memoria e degli affetti che sono i cimiteri. Insomma i funerali dimostrano come il nostro mondo stia tentando (riuscendoci?) di mutare il rito in spettacolo; la fede in emozione; l’amore in sentimento; la realtà in rappresentazione; i fatti in parole (l’importante è che siano dette bene); la preghiera in poesia; la morte in finzione…A certi funerali si ha l’impressione che si stia recitando una parte dove il morto è funzionale allo spettacolo, forse perché è il solo che non può più parlare e dire come esattamente stanno i fatti.  

    – don Davide –

     

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