Prima di partire ci sono molte cose uno si immagina.

È normale, soprattutto se, come è successo a me, un’avventura di questo tipo è il primo viaggio così lontano da casa, oltreoceano. Ma quello che la Bolivia, Cochabamba e la Ciudad del los Niños sono in grado di offrire va molto oltre quello che si può immaginare.

Una volta arrivati a destinazione ci sono molte cose che stupiscono.

La primissima tra tutte è la Ciudad de los Niños in sé. La comunità si trova nella periferia di Cochabamba, ad una trentina di minuti di auto dal centro città. E’ collocata più in alto rispetto al centro urbano, questo fa sì che sia perfettamente in mezzo tra una vista incredibile della città sottostante, con le sue luci e il suo caotico movimento, e le montagne dall’altro lato, maestose e verdeggianti montagne. Oltre il cancello giallo lo spazio della comunità è enorme. Ci sono le 7 case in cui vivono i bambini (che in totale sono circa 80) con le educatrici, la casa dei volontari (in cui vive anche il responsabile del progetto, Padre Gianluca), la casa delle Sorelle, la Chiesa, l’edificio con gli uffici amministrativi, numerosi laboratori, la ludoteca, la falegnameria, la lavanderia, un grande spazio è dedicato all’orto e tutto intorno si è circondati da prati. E’ un luogo in grado di trasmettere moltissima energia, data dall’entusiasmo e dall’allegria dei bambini, e moltissima tranquillità allo stesso tempo.

L’altra cosa in grado di stupire sono proprio i bambini. Padre Gianluca ha l’abitudine di farsi accompagnare da alcuni di loro quando viene a prendere i volontari all’arrivo all’aeroporto. E dal primissimo momento, nonostante ormai credo siano abituati a vedere e conoscere molti volontari diversi ogni anno, che vanno e vengono, loro ti accolgono con sorrisi e abbracci, con quello sguardo curioso che solo i bambini riescono ad avere. Molti di loro, la maggior parte, provengono da famiglie problematiche, da situazioni sicuramente difficili, che nessun bambino dovrebbe sperimentare. Eppure, anche conoscendo qualche dettaglio delle loro storie, la cosa che resta impressa è sempre la loro spensieratezza, la voglia di essere comunque bambini, di giocare e imparare cose nuove.

Padre Gianluca, durante il mio periodo di volontariato, ha deciso di intraprendere il progetto della ludoteca, che era rimasto fermo per più di un anno. Insieme abbiamo ripulito e messo a posto una stanza piena di giochi e attività da fare, sia per i più piccoli che per i più grandi (i bambini che vivono nella comunità hanno dai 2 ai 14 anni circa). Una volta sistemato il posto, gradualmente, abbiamo iniziato ad aprirla due o tre volte alla settimana per portarci i bambini per due ore. I più piccoli, divisi per età tra i 5 e i 6/7 anni ed in gruppi di massimo 4 bambini, hanno iniziato a frequentare la ludoteca regolarmente un giorno a settimana. Con i più grandi, tutti insieme, il momento dedicato era il venerdì sera, dopo cena, dalle 20 alle 22 circa. Come Padre Gianluca stesso ha detto, il progetto inizialmente era un esperimento, una scommessa. Ma è stato ben accolto dai bambini; i più piccoli hanno cominciato ad aspettare con impazienza il proprio turno settimanale e i più grandi, inizialmente più scettici, si sono divertiti con i giochi da tavolo, gli scacchi etc. ed anche loro hanno finito per chiedere quando si sarebbe potuto rifare.

La terza cosa che vale la pena di annotare come assolutamente degna di nota è l’impegno e la dedizionecon cui Padre Gianluca gestisce la comunità insieme alle educatrici, ai collaboratori come don Gregorio (che si occupa dell’orto e di insegnare ai bambini qualche nozione di giardinaggio) e alle ragazze del Servizio Civile, che resteranno a lavorare per la comunità per un anno.

Gestire e seguire così tanti bambini, con tutte le loro possibili esigenze particolari, non è facile, ma è assolutamente tangibile quanto tutti coloro che lavorano nella comunità ci mettano il cuore nel farlo.

Oltre all’impegno costante di tutti i giorni, poi, Padre Gianluca si occupa anche di ricercare e ricontattare le famiglie d’origine dei bambini. E’ un lavoro lungo, fatto di passaparola e di ricerche che richiedono tempo e delicatezza, ma che a volte porta a buoni risultati. Il fatto di poter dare una continuità tra la famiglia d’origine e il bambino, o di offrigli almeno la possibilità di sapere qualcosa dei propri genitori o parenti più prossimi, è un obiettivo molto caro a Padre Gianluca, il cui desiderio finale è quello di dare modo a questi bambini e ragazzi di avere delle possibili radici a cui tornare, e delle basi da cui poter partire per costruirsi un futuro.

L’ultima cosa che lascia stupiti rispetto ad un’esperienza come questa è la cultura boliviana, probabilmente parte della cultura sud americana in generale. Le persone sono aperte e disponibili, e parlare con il proprio vicino in autobus o con un venditore al mercato è un comportamento assolutamente ordinario. Tutto si basa sull’interazione, molto più di quanto siamo abituati a fare; persino il commercio, in cui qualsiasi prezzo si può contrattare, passa necessariamente attraverso lo scambiare quattro parole con i commercianti. Nessuna persona al quale si chiedano informazioni per la strada si tira mai indietro dal prodigarsi in spiegazioni. Questo, soprattutto se si è poco abituati, trasmette necessariamente una sensazione positiva; ti senti accolto in un mondo completamente diverso dal tuo. Ed è per questo che anche dopo solo un mese il Sud America è in grado di restarti nel cuore.

Marta Selvatico, Volontaria