Dopo anni di missione, don P. viveva come uno che si fosse dimenticato di sé, concedendosi il minimo indispensabile a favore dei poveri e digiunando spesso per vivere come loro. Ma quella volta che dall’Italia erano arrivate in visita persone “importanti”, il senso dell’ospitalità gli suggerì di fare uno strappo al suo regime di vita: chiese a una suora che era anche una brava cuoca di preparare la cena e comprò tutto il necessario compresa qualche bottiglia di vino, soffocando il rimorso per quella che gli parve una spesa spropositata. La cena fu apprezzata dagli ospiti e stupì gli altri missionari, abituati a pastasciutte mezze scotte e alla solita cotoletta: tutti si complimentarono con lui che era felice di vederli contenti. Non venne mai a sapere che. tornati in Italia, i visitatori non erano stati benevoli nei suoi confronti: “Non pensavamo che da don P. che ha fama di prete povero, si mangiasse così bene” avevano commentato. Nemmeno i confratelli erano stati teneri: “A noi più che bistecche dure come suole e acqua non ha mai dato altro; con loro ci ha tenuto a fare bella figura! Chissà che interessi aveva in ballo”. Solo un amico –un vero amico- gli suggerì: “Un’altra volta non preparare tutta quella roba: non ce n’è bisogno, perché alla tua mensa, la migliore delle portate sei tu”.
– don Davide –