La conferenza è andata per le lunghe e temo che l’amico che ho invitato a partecipare e che non è abituato a queste cose, si sia annoiato. C’è da dire che lui non ha mai distolto gli occhi dal relatore, ma non ha neanche tradito il minimo interesse, così che mi azzardo a chiedergli: “Come è andata?”. E lui: “Interessante”. Non è un tipo di molte parole e così tento di avvivare il dialogo sottolineando quel che a me è piaciuto del lungo discorso. Lui mi interrompe e in un bergamasco schietto e rude -che ingentilisco nella traduzione- mi fa: “Si capisce la distanza che c’è fra quel che uno dice e quello che uno fa, dal numero di parole che usa…e questo qui ne ha usate tante”. Brutale, ma chiaro. Torno alla carica: “D’accordo, ma questo qui non parla a vanvera e sa bene quel che dice”. E lui implacabile: “Diciamo piuttosto che dice quel che sa. Io non ho studiato e non mi mantengo con le parole, ma con il lavoro. Di sicuro stasera lui ha parlato bene e io mi sono sforzato di seguirlo con attenzione, ma c’è qualcosa che non mi convince, credo cioè che alle parole di quel professore manchi qualcosa…” “Sarebbe?” chiedo. E lui: “Questo professore parla come se quel che dice non gli sia costato niente. Forse per questo spende così facilmente le sue parole”.
– don Davide –