Distratti dal clamore mediatico col quale in tutto il mondo si celebrava la Giornata contro la violenza sulle donne, non tutti si sono accorti che da noi, a Bergamo, accadeva qualcosa che alla stessa Giornata stava dando un significato inatteso e sorprendente: Marta, infermiera al Papa Giovanni XXIII, moglie di Nicola e mamma di Aurora nata prematura, ma in buona salute nel luglio scorso, moriva di tumore per aver voluto a tutti i costi che sua figlia venisse al mondo.
Questa trentenne giovane e bella, amata dai familiari e apprezzata da tutti, aveva deciso che per dare la vita a sua figlia e farne dono al marito e ai familiari, valeva la pena di rischiare la sua di vita e ha portato avanti tale scelta fino in fondo.
Mentre in piazza si protestava giustamente contro la violenza sulle donne, lei compiva il gesto più libero e rivoluzionario di tutti: credere nella vita a tal punto da farla nascere a ogni costo; amare così tanto le persone da farle diventare papà, nonni, zii ecc. della propria creatura; credere nel presente e sperare nel futuro dell’umanità con tanta convinzione, da realizzare la parola di Gesù: «Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita».
Il gesto di Marta che la violenza della malattia l’ha vinta grazie a uno straordinario gesto di amore, rappresenta infine anche la più convincente forma di rifiuto della violenza contro le donne che la vita la accolgono e proteggono, la donano e diffondono.