Ottava Settimana Tempo Ordinario
Proverbio del giorno
Chi è svelto a mangiare è svelto a lavorare.
Preghiera del giorno (Poesie di R. Tagore)
Un giorno dopo l’altro, o Signore della mia vita, starò davanti a te a faccia a faccia. A mani giunte, o Signore di tutti i mondi, starò davanti a te a faccia a faccia.
Sotto il grande cielo in solitudine e silenzio, con cuore umile starò davanti a te a faccia a faccia. In questo tuo mondo operoso, nel tumulto del lavoro e della lotta, tra la folla che s’affretta, starò davanti a te a faccia a faccia.
E quando il mio lavoro nel mondo sarà compiuto, o Re dei re, solo e senza parole, starò davanti a te a faccia a faccia.
Santo del giorno
La Parola di Dio del giorno Marco 10,46-52
Mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare.
Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
Riflessione per il giorno (S. Agostino: la Pazienza)
La pazienza retta, degna di lode e del nome di virtù, è quella per la quale con animo equo tolleriamo i mali, per non abbandonare con animo iniquo quei beni, per mezzo dei quali possiamo raggiungere beni migliori.
Pertanto chi non ha la pazienza, mentre si rifiuta di sopportare i mali, non ottiene d’essere esentato dal male ma finisce col soffrire mali maggiori.
I pazienti preferiscono sopportare il male per non commetterlo piuttosto che commetterlo per non sopportarlo; così facendo rendono più leggeri i mali che soffrono con pazienza ed evitano mali peggiori in cui cadrebbero con l’impazienza.
Ma soprattutto non perdono i beni eterni e grandi, quando non cedono ai mali temporanei e di breve durata poiché, come dice l’Apostolo, i patimenti del tempo presente non meritano d’essere paragonati con la gloria futura che si rivelerà in noi.
Egli dice ancora: La nostra sofferenza, temporanea e leggera, produce per noi in maniera inimmaginabile una ricchezza eterna di gloria.
Intenzione di preghiera del giorno
Preghiamo per tutti coloro che ci hanno fatto e continuano a farci del bene.
Don’t Forget! Santi della carità
LE SEI SUORE VITTIME DELL’EBOLA:
FLORALBA (LUIGIA ROSINA) RONDI, 60 anni † Mosango, CONGO R. D. 25-4-1995
CLARANGELA (ALESSANDRA) GHILARDI, 64 anni † Kikwit, CONGO R. D. 6-5-1995
DANIELANGELA (ANNA MARIA) SORTI, 47 anni † Kikwit, CONGO R. D. 11-5-1995
DINAROSA (TERESA SANTA) BELLERI, 58 anni † Kikwit, CONGO R. D. 14-5-1995
ANNELVIRA (CELESTE MARIA) OSSOLI, 58 anni † Kikwit, CONGO R. D. 23-5-1995
VITAROSA (MARIA ROSA) ZORZA, 51 anni † Kikwit, CONGO R. D. 28-5-1995
Sei suore delle poverelle vittime dell’ebola in africa -1995 «Queste donne, con la loro testimonianza, hanno fatto quello che in quel momento nessuno sarebbe stato capace di fare: salvare vite umane con il vaccino dell’amore!».
Era il 15 marzo 1995 quando un uomo tornò a casa dal lavoro febbricitante, in un villaggio non lontano dalla cittadina di Kikwit, Zaire.
Morì dopo 10 giorni, dissanguato, seguito dopo poco dal figlio, il fratello e altri familiari. Era l’inizio di un’epidemia che avrebbe messo con le spalle al muro tutta la città.
Ma dove non venne meno la testimonianza di carità di sei consorelle delle Suore delle Poverelle, «avvolte tra i poveri», come diceva Luigi Maria Palazzolo.
È dalle testimonianze delle suore stesse che si ha un’immagine di come si diffuse Ebola: «Il primo malato sospetto è arrivato i primi di aprile del 1995», è il ricordo della congolese suor Nathalie. «Veniva da un altro ospedale.
Aveva la pancia gonfia. Ricordo che, quando lo vidi, qualcosa dentro di me mi disse di non toccarlo, di non avvicinarmi».
Suor Floralba fu la prima ad essere contagiata, mentre assisteva un paziente: morì il 25/4.
Una dopo l’altra si ammalarono anche le altre missionarie: l’ultima, suor Vitarosa, morì il 28/5, dopo aver assistito le consorelle in letto di morte.
«Non c’è amore più grande che dare la vita come Gesù», disse di loro il vescovo di Bergamo Francesco Beschi nel chiudere il processo diocesano di beatificazione.
«In queste sei vite vediamo entusiasmo e passione nella consacrazione alle missioni fino alla donazione totale».
Avevano ottime abilità infermieristiche, «ma la loro competenza più grande è stata la capacità di trasformare un ospedale in un luogo di speranza.
Sta qui il loro contagio, più forte della malattia. La carità verso i poveri è stata la loro regola di vita».