2 Parola: “GRAZIE”
Si è detto che il primo passo del percorso educativo consiste nel saluto cioè nel riconoscimento dell’altro: salutare significa dichiarare la propria disponibilità all’incontro, al dialogo, allo scambio e alla collaborazione con l’altra persona…
Questo riconoscimento induce a compiere il secondo passo che è quello della “riconoscenza” cioè della gratitudine che nasce dall’apprezzamento dell’altro: siccome ti riconosco, ti apprezzo e di conseguenza ti sono riconoscente, grato per quel che sei più che per quel che mi dai.
Saper ringraziare è più importante di quanto si pensi; che non sia solo una questione di galateo, ma molto di più ce lo ricorda S. Paolo nell’impressionante brano di Romani 1,18-32: “…sono inescusabili, perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno…ringraziato e (per questo) si sono abbandonati a ragionamenti vani e il loro cuore privo d’intelligenza si è ottenebrato”. L’apostolo fa capire che all’origine di ogni malvagità c’è il mancato riconoscimento del bene cioè la mancata riconoscenza, gratitudine.
Il profeta Geremia (17,5-6) afferma: l’uomo che “quando viene il bene, non lo vede” cioè non sa riconoscere il bene e ringraziare è un maledetto, niente meno! Ecco perché i nostri genitori ci insegnavano fin da piccoli 4 parole: salve – per favore – grazie – scusa. Ecco perché la Chiesa in cambio dei benefici che Dio ci dona ogni giorno ci comanda solo una cosa: prendere parte di domenica all’eucaristia (=parola che significa “ringraziamento”).
Ma nel nostro mondo l’arrogante cultura dei diritti rischia di far scomparire la gratitudine: se tutto mi è dovuto, che bisogno c’è di ringraziare? Lo sanno bene quei genitori che dai figli si sentono dire: “Mi hai messo al mondo? Ora mi mantieni”. Lo sanno certi insegnanti bersagliati da alunni fuori di testa e da genitori peggio di loro. Lo sanno tanti preti che alla fine del percorso educativo dei ragazzi ottengono un risultato contrario a quello che si proponevano.
Perché sono in aumento i tipi convinti che il grazie non sia dovuto né a Dio, né al prossimo, ma solo a sé stessi; i self-made-men fuori di testa che hanno come motto: “se sto bene io, stanno bene tutti”. Frutto avvelenato dell’ingratitudine è il bullismo che ha origine dall’incapacità di riconoscere che io devo tutto a tutti, da Dio al prossimo, anche quello che non conosco.
Non solo: molto del disagio giovanile ha la radice nell’incapacità di vedere il bene e di renderne grazie. Il che ci ricorda quel che dice il salmo 4: “Molti dicono: “Chi ci farà vedere il bene…?”.
In un momento storico come questo in cui è soprattutto il male a essere messo in evidenza, occorrono persone capaci di “far vedere il bene” che è nascosto, ma è dappertutto. E sarà proprio questo il tema della terza parola: DISCERNIMENTO.