Riflessione del giorno

IL CONCERTO – riflessione di un sacerdote italiano

By Patronato S. Vincenzo

May 05, 2020

 

Musica. Sinfonia, canto, suoni, gioia sì, ma anche inquietudine, tristezza, paura, e serenità, immenso, forte, delicato, stridente, dolcissimo. Tutto questo, e molto molto di più. Perché la musica è l’uomo che canta sé e il mondo, nella musica c’è l’uomo. Di più, nella musica c’è il mondo. Il mondo che aspettava l’uomo a pronunciarlo, il mondo che non sapeva dire se stesso, finché l’uomo non ha iniziato a cantarlo, a suonarlo, a suonarsi con lui.

Concerto. Ha anche un altro significato. Accordo, ascolto. Non mai compromesso, ma sempre incontro, comprensione, mutualità. Solo di concerto si può agire in pace, ma non c’è concerto senza identità, senza consapevolezza. Un concerto non è una contrattazione, una ricerca di ciò che appaga tutti, perché questa non è musica, è solo un contratto. La musica non esiste perché appaga tutti, ma incontra tutti, tutti si incontrano, ciascuno a modo suo, nel modo degli altri, mondo suo nel mondo tuo. E grazie al concerto, il mondo diventa nostro, ma senza annullare il mio e il tuo. Nostro, perché mio, mio perché tuo.

Sinfonia.

Il suono insieme. Non rinuncio al mio suono, al mio stile, ma lo apro al tuo suono. Io canto, e così canti anche tu. Oh, questa finalmente è la libertà: proprio quella che comincia dove…  sì esatto, quella che comincia proprio dove comincia la libertà dell’altro, dell’altro che mi chiama. Se mi chiama, mi rende respons-abile, capace di rispondere, dunque libero. La libertà è musica, è sinfonia.

Non posso esistere senza musica, senza sinfonia, senza concerto. Il mondo non ex-iste (non esce dal nulla dell’inconsapevolezza) senza il concerto, senza questa attività fondamentale, che solo noi uomini sappiamo e possiamo agire. La concertazione.

E allora ho bisogno di cantare, di suonare. Di cantare il mio spartito, concertato col tuo, col suo, e col loro. Vi prego, vi imploro, lasciatemi cantare, e cantate con me la vostra canzone.

Come posso non celebrare il mio Signore, il mio unico Amore, Colui che ha piegato il suo cielo ed è sceso nel mio silenzio, nel mare del silenzio, per ri-dirmi “tu!”? Se non celebro il “mio” Gesù, non so più cantare, non so più parlare, non so… suonare. Sono come un cembalo che tintinna, una campana fessa. Lo ero, e ancora troppo lo sono, una campana fessa. Ma il mio suono un po’ stonato si intona (oh, quanto ancora a fatica), e si concerta, perché Lui mi ha abbracciato, e ancora mi abbraccia sui miei squarci, e solo il suo abbraccio mi fa suonare.

Lasciatemi cantare.

Ho bisogno di celebrare Gesù, ne ho bisogno come l’essere umano ha bisogno dell’ossigeno, di più, come la parola, come il mio nome. Ho bisogno di celebrare Gesù qui ed ora, quel Suo gesto nei miei gesti, quel suo Sguardo nei miei occhi, quel suo pane, quel suo vino, quel suo Lui nel mio quotidiano, quel mio quotidiano nel suo Lui.

Mi dirai: ma non ti basta pregare? Dio lo incontri nel tuo cuore, lo diceva anche sant’Agostino…

Oh sì, ma il mio cuore non esiste senza il mio corpo. Gesù mi ha strappato dall’intimismo delle mie splendide emozioni, e mi dice “guardate le mie mani e i miei piedi, ché sono proprio io, tastatemi e toccate, che un fantasma non ha carne e ossa come contemplate che io ho”. “Porta il tuo dito qui e guarda le mie mani e porta la tua mano e gettala nel mio costato, e non diventare incredulo, ma credente”. Senza toccarlo, senza celebrarlo, senza la contemplazione che lo “tasta”, che lo gusta, come posso sapere che è davvero Lui?

Come dici? Che sono ancora troppo come Tommaso (“perché mi hai veduto, hai creduto. Beati quelli…”). Probabilmente sì. Perdona, fratello orchestrale, la mia fede ancora debole. Ma è Lui, è il Maestro che mi comanda di tastarlo. Mi chiama.

È il Signore!

Toglietemi tutto, ma non l’Eucaristia. Senza Eucaristia, non c’è il concerto.

E non saprei più concertare.

Ce lo lasciate celebrare insieme, Gesù? Mi ha detto “toccatemi”, non solo “toccami”. Insieme. Appunto, sinfonia.

Tu non credi in Gesù, non lo conosci? Allora canta il tuo canto, suona la tua musica. Con Dio, o senza Dio se non l’hai mai incontrato, ma ho bisogno anche della tua musica, è il Maestro che mi dice che non posso suonare da solo, che lì, sopra al mio rigo, c’è anche il tuo, e che io suono per te. Forse non lo sai, ma se suono, è anche per te. È il concerto. Concerti?

La Messa non è un rituale magico, non è una rivendicazione identitaria esclusivista. La Messa è la condizione per il mio io, è il cuore di tutto quello che posso essere, che posso fare. Oso dirti un po’ di più: è il concerto di tutti i concerti, è la musica di tutte le musiche, il canto di tutti i canti. Il Cantico dei Cantici. Ma non il canto esclusivo! Proprio perché è il Cantico dei Cantici, quanto più sono (e suono) con Gesù, tanto più ho bisogno di sentire il tuo canto. È l’unico modo che il mio Maestro conosce per dirigere questo concerto.

Curiamo tutto, con scrupolosa premura e attenzione: distanziamento sociale, disinfezione, mascherine, inchini e sorrisi al posto del bacio di pace, e immergo le dita nell’alcool 95% ogni volta prima di depositare la particola sulla mano di ciascun fedele.

Ma appena possibile, appena riapriamo, lasciami celebrare, anzi lasciami concertare la sinfonia Eucaristica. Se la cancelli, con essa avrai cancellato anche il mio documento d’identità.

Concerti?

– un sacerdote italiano –