Da bambino i miei mi permettevano a volte, dietro mia insistenza, di andare a dormire dai cugini i quali, a differenza di noi che avevamo solo una piccola cucina e un’unica camera da letto, si potevano permettere una stanza per i figli maschi e una per le femmine. All’Angelo custode sopra il comodino e alla Sacra Famiglia sopra la testiera del letto non si faceva caso, se non quando arrivava la zia a farci recitare le preghiere, ma il grande quadro ovale con l’immagine dei nonni che ti fissavano severi era impossibile evitarlo e incuteva soggezione, almeno all’inizio…
Poi piano piano ci si abituava anche a loro convinti che nella stanza ci fosse spazio per tutti: non solo per noi bambini, ma anche per Dio, la Madonna, gli Angeli e i Santi e naturalmente i morti ai cui andava l’ultima preghiera: L’eterno riposo dona a loro Signore…Poi si spegnevano le luci e ci si addormentava non senza aver fatto prima la lotta fra le coperte. Crescendo, ho avuto anche io la mia stanza in condivisione con mio fratello dove il grande quadro ovale dei nonni era sparito, sostituito da uno più piccolo sul comò davanti al quale la mamma non faceva mancare il vasetto di fiori. A volte, dopo cena, lei prendeva la scatola delle foto e ci raccontava le storie di quegli uomini baffuti con tanto di cappello e gilet e di quelle donne (che ci sembravano così vecchie) dalle trecce raccolte in una crocchia sulla nuca e dalle lunghe sottane: erano i bisnonni, nonni e zii mai conosciuti, di cui lei si premurava di custodire la memoria.
Diventato prete, la gente mi invitava in casa sua e non potei fare a meno di notare che le fotografie dei nonni erano state sostituite da quadri argentati che incorniciavano foto di figli e nipoti… Le sempre più piccole foto di morti sopravvivevano soltanto nella stanza della nonna che aveva trasformato il ripiano del comò in un piccolo altare di croci, Madonne e santi e congiunti col cero sempre acceso. Col passare degli anni (sono tanti ormai!) poco a poco nelle case sempre più moderne insieme a Dio, Madonna e Santi sono scomparsi anche i defunti, soprattutto nelle stanze dei i ragazzi che pure ospitano di tutto, ma ai quali bisogna dare solo immagini di vita. Quando sono ritornato dalla missione, non ho più dimenticato ciò che un giorno dopo la Messa al cimitero una nonna disse alla giovane nipote: “Quando morirò, non disturbarti a venire a trovarmi: sei giovane e devi coltivare pensieri gioiosi, non ricordi tristi”. In quel momento ho avuto la netta percezione del disastro in atto: la volontaria e consapevole rimozione della memoria non tanto da parte dei giovani, ma degli stessi anziani che del “cupio dissolvi” hanno fatto un vero e proprio programma di vita, purtroppo non nel senso che S. Paolo dava alla parola (“desidero essere sciolto dal corpo per essere con Cristo”), ma semplicemente nel senso brutale di togliere il disturbo e sparire.
Ed ecco che è arrivato il coronavirus e il progetto di far sparire non solo la morte, ma anche i morti è diventato tragica, dolorosissima realtà con l’epidemia che è entrata nelle case di riposo facendo strage di nonni, con lugubri file di camion carichi di cadaveri da cremare lontano e con frettolosi congedi dal caro defunto da parte del gruppetto sparuto dei congiunti più stretti. All’esigenza di rispettare le pur giuste norme per il contenimento del contagio, si sono sacrificate troppe cose: la pietas verso i propri cari vivi e defunti, il dovere della memoria per chi non c’è più, la necessità della solidarietà nel momento del dolore. Forse non si poteva fare altro nella terribile emergenza che è capitata, ma prima che capitasse qualcos’altro si doveva fare, come continuare a onorare i poveri morti, come trasmetterne il devoto ricordo, come onorare gli anziani e non considerarli un peso o un impiccio, come voler bene a nostri cari da vivi e non limitarsi a piangerli da morti. Ma soprattutto si può ricominciare a fare altro dopo la pandemia: ognuno dei 5.000 e più morti bergamaschi deve essere ricordato e raccontato a figli e nipoti e la sua foto va di nuovo rimessa sulle pareti di casa, la sua tomba ornata di fiori (veri, non artificiali) e di preghiere…E’ il minimo che si possa fare per chi in vita e in morte ha onorato non solo la sua famiglia, ma anche la nostra storia e la nostra terra.
– don Davide –