Nelle vite dei “padri del deserto” si racconta di un monaco che, a forza di digiunare, si era fatto fama di asceta; ma temendo di cadere in superbia, decise di chiedere consiglio a un monaco ritenuto santo.
Lo trovò che stava pregando e impagliando cesti: così sedette accanto a lui e gli espose i suoi dubbi, aspettando che terminasse le orazioni per avere la risposta.
Ma l’attesa si prolungò così tanto che decise di interrompere il silenzio e disse: “Abba, beneditemi, perché devo andare”. L’altro gli rispose: “Hai educato la tua bocca a non nutrirsi, ma non le tue orecchie. Va’ e impara a far digiunare anche l’udito, custodendo il silenzio”.
Mi è venuto in mente questo “apoftegma” ascoltando un tale che davanti a un gruppo di persone, si vantava di aver vinto la dipendenza dal gioco che l’aveva rovinato: “Sono riuscito a uscire dal vizio grazie alla mia forza di volontà, perché volere è potere!”.
Ma un altro dei presenti, suo compagno di avventure (e di vizi), gli fece notare: “Guarda che tu non sei uscito dalla dipendenza, ma l’hai solo cambiata. È vero che non giochi più alle macchinette, ma è altrettanto vero che ora stai attaccato tutto il giorno allo smartphone”. Perché una delle astuzie del vizio è che sa riciclarsi così bene, da riuscire a sembrare una virtù.