Chi come me ha una certa età non può non lamentare il fatto che il nostro tempo abbia disumanizzato la morte censurandola (spariscono le tombe) irridendola (Halloween) ignorandola («la morte non esiste, se c’è lei non ci sono io; e se ci sono io non c’è lei»). Noi infatti abbiamo vissuto tempi in cui era ancora possibile salutare chi affrontava l’ultimo viaggio.
Nostra mamma ci raccontava che la nonna agonizzante a un certo punto le aveva detto: «Lasciami andare: vedo tuo padre che viene a prendermi». Da prete poi ho sperimentato come la speranza segnasse tanti decessi: «Quando arrivi, salutami papà e mamma» aveva sussurrato la sorella alla moribonda che le rispose di sì con un cenno del capo.
Nella stanza piena di gente il malato agitava la mano indicando un punto preciso: un parente capì e fece spostare tutti così che l’altro potesse vedere sul comò la foto della mamma e il crocifisso, lui sorrise e spirò. Mi avevano chiamato per un olio santo: «Uscite tutti che devo confessarmi» disse l’anziana a figli e parenti. Rimasti soli fece: «Ho dovuto fingere di star molto male, perché questi mi avrebbero fatto morire senza sacramenti».
In un’altra occasione un signore mi confessò: «Il medico m’ha detto che mi restano pochi mesi di vita. Mi aiuterebbe a preparami a morire bene?». Nei giorni dei morti infine noi si andava tutti (bambini compresi) al cimitero a pulire le tombe, ad adornarle di fiori, ad accendere lumini, a pregare e tutti capivamo che quei morti erano più vivi di noi.