IV. Settimana del Tempo Pasquale
Proverbio del giorno (Arabia)
«Prendi la saggezza senza preoccuparti del recipiente che la racchiude».
Iniziamo la giornata pregando
Non ricordare più i miei peccati; se ho mancato, per la debolezza della mia natura, in parole, opere e pensieri. Tu perdonami, tu che hai il potere di rimettere i peccati. Deponendo l’abito del corpo, la mia anima sia trovata senza colpa. Più ancora: degnati, o mio Dio, di ricevere nelle tue mani l’anima mia senza colpa e senza macchia quale una gradita offerta.
TOMMASO DA OLERA, RELIGIOSO
Tommaso Acerbis nacque a Olera di Alzano (Bg) nel 1563, fece il pastore fino ai 17 anni, quando entrò fra i Cappuccini, imparò a leggere e scrivere, dimostrandosi colmo di virtù e incaricato della questua; fra le popolazioni operava pacificazioni e spingeva al perdono; visitava e confortava i malati; ascoltava e incoraggiava i poveri, denunciava il male e operava conversioni. Operò a Vicenza, Padova, Innsbruck dove divenne consigliere e guida di imperatori e duchi e difensore della fede; svolse opera sociale a favore dei minatori e combatté le idee luterane che si espandevano velocemente. Morì nel 1631 a Innsbruck dov’è sepolto. Il 21-09-2013 è stato proclamato Beato.
Parola di Dio del giorno (Gv 10,11-18)
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Riflessione Per Il Giorno (don Davide Rota)
Da bambino i miei mi permettevano a volte, dietro mia insistenza, di andare a dormire dai cugini i quali, a differenza di noi che avevamo solo una piccola cucina e un’unica camera da letto, si potevano permettere una stanza per i figli maschi e una per le femmine. All’Angelo custode sopra il comodino e alla Sacra Famiglia sopra la testiera del letto non si faceva caso, se non quando arrivava la zia a farci recitare le preghiere, ma il grande quadro ovale con l’immagine dei nonni che ti fissavano severi era impossibile evitarlo e incuteva soggezione, almeno all’inizio…Poi piano piano ci si abituava anche a loro, convinti che nella stanza ci fosse spazio per tutti: non solo per noi bambini, ma anche per Dio, la Madonna, gli Angeli e i Santi e naturalmente i morti ai cui andava l’ultima preghiera: L’eterno riposo…Poi si spegnevano le luci e ci si addormentava non senza aver fatto prima la lotta fra le coperte. Crescendo, ho avuto anche io la mia stanza in condivisione con mio fratello dove il grande quadro ovale dei nonni era sparito, sostituito da uno più piccolo sul comò davanti al quale la mamma non faceva mancare il vasetto di fiori. A volte, dopo cena, lei prendeva la scatola delle foto e ci raccontava le storie di quegli uomini baffuti con tanto di cappello e gilet e di quelle donne (che ci sembravano così vecchie) dalle trecce raccolte in una crocchia sulla nuca e dalle lunghe sottane: erano i bisnonni, nonni e zii mai conosciuti, di cui lei si premurava di custodire la memoria. Diventato prete, la gente mi invitava in casa sua e non potei fare a meno di notare che le fotografie dei nonni erano state sostituite da quadri argentati che incorniciavano foto di figli e nipoti… Le sempre più piccole foto di morti sopravvivevano solo nella stanza della nonna che trasformava il ripiano del comò in un piccolo altare di croci, Madonne, santi e congiunti col cero sempre acceso. Col passare degli anni nelle case sempre più moderne insieme a Dio, Madonna e Santi sono scomparsi anche i defunti, soprattutto nelle stanze dei i ragazzi che pure ospitano di tutto, ma ai quali bisogna dare solo immagini allegre. Ma non ho più dimenticato ciò che un giorno dopo la Messa al cimitero una nonna diceva alla giovane nipote: “Quando morirò, non disturbarti a venire a trovarmi: sei giovane e devi coltivare pensieri gioiosi, non ricordi tristi”. In quel momento ho avuto la netta percezione del disastro in atto: la volontaria e consapevole rimozione della memoria non tanto da parte dei giovani, ma degli stessi anziani che del “cupio dissolvi” hanno fatto un programma di vita, non nel senso che S. Paolo dava al motto (“desidero essere sciolto dal corpo per essere con Cristo”), ma nel senso brutale di togliere il disturbo e sparire. Ecco infine che il coronavirus si è incaricato di far sparire non solo la morte, ma anche i morti con l’epidemia entrata nelle case di riposo per fare strage di nonni, con lugubri file di camion carichi di cadaveri da cremare lontano e con frettolosi congedi dal caro defunto da parte del gruppetto dei congiunti più stretti. Al rispetto delle pur giuste norme per il contenimento del contagio, si sono sacrificate troppe cose: la pietas verso vivi e defunti, il dovere della memoria per chi non c’è più, la solidarietà nel momento del dolore. Forse non si poteva fare altro nella terribile emergenza che è capitata, ma, prima che capitasse, qualcos’altro si doveva fare: per esempio continuare a onorare i poveri morti; trasmetterne il devoto ricordo; onorare gli anziani e non considerarli un impiccio, voler bene a nostri cari da vivi, non limitandoci a piangerli da morti. Soprattutto si deve cominciare a fare altro dopo la pandemia: i 5.000 e più morti bergamaschi devono essere ricordati e raccontati uno per uno ai rispettivi figli e nipoti e la loro foto vanno di nuovo rimesse sulle pareti di casa, la loro tomba ornata di fiori (veri, non artificiali) e di preghiere…E’ il minimo che si possa fare per chi in vita e in morte ha onorato non solo la sua famiglia, ma anche la nostra storia e la nostra terra.
Intenzione del giorno
Preghiamo per i donatori di organi che permettono a tanti malati di sopravvivere
Don’t forget! 100 foto che hanno cambiato il mondo
A sinistra, il rubinetto nuovo, destinato ai bianchi, e a destra quello «scrostato». Sopra ai due rubinetti due scritte “white” e “colored”, per evidenziare quello che possa risultare equivocabile all’apparenza. Sull’estrema destra, appena dentro all’inquadratura, si intravede un ragazzo nero che sta utilizzando lo spazio a lui destinato. La foto è tutta qui. La tragicità sta tutta nella pulizia dell’inquadratura. E’ immediatamente chiaro dove ci si trova, è immediatamente chiaro cosa vogliono dire le scritte ed è immediatamente chiaro il messaggio dell’intera fotografia. La schiettezza con cui Erwitt ci lancia un messaggio così doloroso è disarmante. Si rimane increduli di fronte all’insensatezza della distinzione che ha caratterizzato molti anni della storia degli Stati Uniti, soprattutto quelli del Sud.