«Com’è che un demente con un mitra in mano riesce a essere così efficace nel far del male, e invece uno che ce la mette tutta a far le cose bene, o a cercare di fare del bene, raggiunge – nel migliore dei casi – risultati così modesti da risultare addirittura scoraggianti?». Questa domanda di un lettore al direttore di un giornale coglie in pieno il dramma della storia di tutta umanità e della vita del singolo uomo: il male sembra o addirittura è più efficace del bene; i delinquenti sono più determinati dei giusti nel raggiungere i loro obiettivi; un solo atto malvagio riesce facilmente a distruggere ciò che innumerevoli atti buoni hanno realizzato con sforzo e fatica. Ci si può consolare pensando che alla lunga è il bene a trionfare, ma alla lunga saremo tutti morti. Non si tratta di essere pessimisti, ma realisti: se è vero quel che si dice riguardo alla forza del bene, perché è quasi sempre il male a occupare le prime pagine di stampa e tv? A cosa si deve il dilagare delle telecamere che hanno lo scopo non di evidenziare il bene, ma di prevenire e controllare il male? E che dire dello schieramento di forze dell’ordine che ci sembrano sempre insufficienti e inadeguate a contenere i malfattori? E come mai i tribunali sono così intasati, se è il bene a trionfare? La verità è che per sua natura il bene fatto da noi è fragile, così debole che basta un nonnulla a comprometterlo, a rovinarlo, persino a distruggerlo. Cosa significa? Che non c’è speranza? La Bibbia afferma che fare il bene consiste nel gioire del mondo com’è: lo conferma il profeta Geremia (17,5-10) il quale sostiene che il malvagio “è colui che quando viene il bene non lo vede”. Lo insegnava anche il catechismo che alla domanda: “Dov’è Dio?” rispondeva: “Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo. Egli è Immenso”. Se Dio è il sommo Bene, di conseguenza il bene è dappertutto. Perché non lo vediamo allora? Perché per vedere il bene che è presente ed è all’opera nel mondo, occorre imparare a vedere Dio. La beatitudine dei “puri di cuore che vedono Dio” (Mt 5) ci suggerisce che bisogna imparare a guardare il mondo con occhi puri cioè con gli occhi stessi di Dio, così carichi di amore e misericordia da scorgere nelle sue creature anche la più piccola traccia di bene e così buoni da portare il bene dentro tutto ciò che vedono. E in questo consiste la “contemplazione”. Il cristiano è lottatore perché è contemplativo; lotta perché “ha visto e contemplato il volto di Dio”. Dalla contemplazione nasce la lode, la gratitudine quotidiana e incessante a Colui che tutto dispone per il bene di chi crede. E fin qui ci siamo: chi prega, capisce queste cose. Ma contemplare non esime dalla lotta, anzi getta nella mischia…ed è da qui che nasce la fatica; è qui che il bene sembra troppo debole e il male sembra troppo forte. Mi riferisco alla mia esperienza, poco significativa per gli altri, ma non per me.
Io cerco (non è detto che riesca, ma cerco) di fare il contrario dei terroristi, degli intolleranti e di coloro che vedono il male dappertutto e lo dicono sempre e a tutti: cerco cioè di dimostrare che la convivenza fra islamici e cristiani, italiani e stranieri, bianchi e neri, neri e marocchini, sciiti, sunniti…è possibile; non facile, ma è possibile. Che l’invasione dal sud del mondo è un problema grave fin che si vuole, ma non una catastrofe. Che si può aiutare i bisognosi anche senza disporre di tutti i mezzi ritenuti indispensabili per interventi di questo tipo. Si badi bene: credo possibile questo non perché io mi ritenga capace di farlo e neppure perché creda che i nostri ospiti italiani e stranieri ne siano capaci… può darsi, ma potrebbe darsi anche il contrario. Lo faccio e ritengo possibile farlo semplicemente perché questo è ciò che Dio vuole e se Dio lo vuole, lo realizza e lo farà. Senza alcun dubbio. Nonostante la realtà quotidiana dimostri la forza del male, dimostri che i risultati di tanti sforzi personali e di tanto impegno anche economico siano a volte così modesti da scoraggiare, da far pensare che non ne valga la pena, il bene va fatto sempre e comunque. Il santo monaco Evagrio diceva: “La natura del bene è più potente dell’istinto del male, per il fatto che il bene esiste, mentre il male non esiste se non soltanto quando viene commesso”. Il bene nostro, di noi uomini è come noi, debole e sempre perdente. Ma in Gesù Cristo Dio l’ha fatto suo e di conseguenza non dobbiamo impegnarci a renderlo più forte del male e neppure tocca a noi di garantirlo, ma solo a Lui, il Signore perché Lui è la realtà, lui è il Bene, tutto il bene del mondo. A noi tocca solo fare il bene in modo libero, generoso, gratuito e gioioso, anche quando (anzi soprattutto quando) sembra che non serva a nulla.
– don Davide Rota –