Seconda Settimana di Pasqua
MARTINO 1° PAPA E MARTIRE
Originario di Todi, Martino fu prete a Roma e in seguito legato pontificio alla corte imperiale di Costantinopoli. All’epoca il dibattito teologico mirava a stabilire se Gesù aveva una o due volontà. I padri conciliari a Calcedonia avevano stabilito che Gesù aveva due nature. Eletto Papa nel 649, Martino dovette affrontare la questione e indisse un sinodo a Roma che stabilì che la negazione della realtà della volontà umana del Cristo renderebbe impossibile la piena redenzione dell’uomo. Furente, l’imperatore Costante II inviò in Italia l’esarca Olimpio con l’ordine di condurre prigioniero il Papa in Oriente. Olimpio si ribellò, si autoproclamò signore d’Italia e per tre anni governò sulla penisola: Martino poté così svolgere il suo ministero in libertà. Poi, però, Olimpio morì in battaglia e Costante inviò un nuovo emissario che fece prigioniero il Papa e lo portò prigioniero nella penisola di Crimea, dove morì nel 655, presto venerato come martire della fede.
la Riflessione del giorno (Mons. Ravasi: Mattutino)
La nobiltà dello spirito, rispetto a quella tradizionale del sangue, ha il vantaggio che uno se la può conferire da solo. Questa citazione è di Robert Musil che era nato a Klagenfurt in Austria nel 1880 e aveva studiato e vissuto in Germania, col prevalere di Hitler, aveva deciso di lasciare Berlino e di riparare in Svizzera, e a Ginevra si spegneva nel 1942. Là aveva condotto un’esistenza povera e la morte l’aveva colto all’improvviso mentre stava lavorando al suo capolavoro incompiuto, l’Uomo senza qualità. Vi ricordate l’esilarante battuta di Totò: «Signori si nasce. E io lo nacqui!»? In realtà, non si nasce né signori né raffinati né insigni, lo si diventa con un serio esercizio. Si può ereditare per nascita di essere conti o marchesi, blasonati e patrizi: frutto di condizioni meramente estrinseche è appartenere alla classe aristocratica o plebea. La «nobiltà dello spirito», come ammonisce Musil, è invece l’unica che ci conferiamo da soli con un impegno severo, anche nei piccoli comportamenti. A quest’ultimo proposito mi viene in mente la battuta di un altro scrittore, Anton Cechov: «La signorilità vera non sta nel non versare la salsa sulla tovaglia, ma nel non mostrare di accorgersi se un altro lo fa». Il contegno, l’educazione, il rispetto sono valori che rivelano una classe che non è assegnata dai documenti anagrafici, ma che fiorisce da una finezza umana profonda.
l’intenzione di preghiera del giorno
Preghiamo perchè i cristiani non si scandalizzino della croce, ma da essa attingano vita eterna
don’t forget! 1000 Quadri più Belli del Mondo
Giovanni Battista Pittoni (1687–1767) fu pittore e docente cittadino della Repubblica di Venezia. A partire da Sebastiano Ricci e con Giovanni Antonio Pellegrini, Rosalba Carriera, Jacopo Amigoni e Giambattista Tiepolo è considerato tra i più rilevanti esponenti del Rococò veneziano. L’opera che oggi presentiamo ripete una composizione tra le più care e preziose del Pittoni ed è notevole per il vigore dell’impianto, sostenuto da un modello largo e saldo, ma di pasta morbida. Il pittore ritrae la visione a cui ebbe la possibilità di assistere il conte Tirso al quale Antonio chiese di costruirgli tra i rami di un albero una specie di celletta dove ritirarsi in preghiera. Il nobile gliela allestisce e il santo passa in quel rifugio le sue giornate di contemplazione, rientrando nell’eremo solo la notte. Una sera, il Conte si reca nella stanzetta dell’amico, quando, dalla porta socchiusa, vede sprigionarsi un intenso splendore. Temendo un incendio, spinge la porta e resta immobile davanti alla scena di Antonio che stringe fra le braccia Gesù Bambino. Quando si riscuote dall’estasi, il santo prega l’amico di non dire a nessuno dell’apparizione. Solo dopo la morte del Santo il Conte racconterà quello che aveva visto. L’opera ritrae il momento in cui Antonio stringe fra le braccia Gesù bambino: il pittore mirabilmente riesce a tradurre in immagini la beatitudine evangelica dei puri di cuore che vedono Dio. Infatti S. Antonio nella mano destra, oltre al giglio simbolo di purezza, stringe un panno bianco su cui poggia il bambino circondato da nube luminosa: il santo non lo guarda e fa così intuire che la sua è visione tutta interiore. Il bambinello con la braccia compone un segni di croce e china lo sguardo benedicente sul giovane frate. I colori soffusi, i gesti contenuti, i sentimenti intimi, i toni raccolti…tutto parla di un’esperienza mistica intensissima che però non ha nulla della retorica e ridondanza barocca. Siamo di fronte a un vero capolavoro.