Riflessione del giorno

Martedì 2 luglio 2024

By patronatoADM

July 01, 2024

 

XIII Settimana T. Ordinario anno B

 

Avvenne il 2-7…

1777 – Il Vermont diventa il primo stato americano ad abolire la schiavitù.

1871 – Vittorio Emanuele II di Savoia entra solennemente a Roma dopo averla conquistata

1897 – Guglielmo Marconi brevetta a Londra la radio

1990 – In Arabia Saudita 1426 pellegrini muoiono schiacciati dalla folla alla Mecca

2008 – Liberata Íngrid Betancourt, donna di Stato colombiana sequestrata dalle FARC nel 2002

 

Aforisma 1 Corinzi 13,2

E se conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza…ma non avessi la carità, non sarei nulla.

 

Preghiera salmo 5

Guidami, Signore, nella tua giustizia…perché Tu non sei un Dio che gode del male, non è tuo ospite il malvagio; gli stolti non resistono al tuo sguardo. Tu hai in odio tutti i malfattori, tu distruggi chi dice menzogne. Sanguinari e ingannatori, il Signore li detesta. Io, invece, per il tuo grande amore, entro nella tua casa; mi prostro verso il tuo tempio santo nel tuo timore. Amen

 

Santo del giorno

 

Parola di Dio del giorno Matteo 8,23-27

In quel tempo, salito Gesù sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde; ma egli dormiva. Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!».

Ed egli disse loro: «Perché avete paura, gente di poca fede?». Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia. Tutti, pieni di stupore, dicevano: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?».

 

Riflessione breve da Viktor Frankl “Uno psicologo nei lager”

Dostojewski ha detto: «Temo una cosa sola: di non essere degno del mio tormento». Ripensammo più d’una volta a queste parole, quando abbiamo conosciuto uomini eroici, quasi dei martiri, che col loro comportamento nel Lager, in mezzo a sofferenze e dolori, testimoniarono l’ultima e inalienabile libertà interna dell’uomo, gravemente compromessa. Avrebbero potuto dire a buon diritto che furono «degni del loro tormento».

Hanno dimostrato che, soffrendo rettamente, si può realizzare qualcosa: una conquista interiore. La libertà spirituale dell’uomo, quel bene che nessuno può sottrargli finché non esala l’ultimo respiro, fa sì ch’egli trovi, fino all’ultimo respiro, il modo di plasmare in modo coerente la propria vita.

Poiché non ha senso solo la vita attiva, nella quale l’uomo ha la possibilità di realizzare i valori in modo creativo; e non ha un senso solo la vita ricettiva, cioè una vita che permette all’uomo di realizzarsi sperimentando la bellezza nel contatto con arte e natura; la vita conserva il suo senso anche quando si svolge in un campo di concentramento, quando non offre quasi più nessuna prospettiva di realizzare dei valori, creandoli o godendoli, ma lascia solamente un’ultima possibilità di comportamento moralmente valido, proprio nel modo in cui l’uomo si atteggia di fronte alla limitazione del suo essere, imposta con violenza dall’esterno.

La vita creativa e quella ricettiva gli sono da tempo negate. Ma non solo la vita creativa e quella ricettiva hanno un senso: se la vita ha un significato in sé, allora deve avere un significato anche la sofferenza. La sofferenza, in qualche modo, fa parte della vita —proprio come il destino e la morte. Solo con miseria e morte, l’esistenza umana è completa! Dal modo in cui un uomo accetta il suo ineluttabile destino e con questo destino la sofferenza che gli viene inflitta, dal modo in cui un uomo prende su di sé la sofferenza come la «sua croce», sorgono infinite possibilità di attribuire un significato alla vita, anche nei momenti più difficili, fino all’ultimo atto di vita.

A seconda se uno resta coraggioso e forte, dignitoso e altruista o se dimentica d’essere un uomo nella spietata lotta per sopravvivere e diventa in tutto e per tutto l’animale d’un gregge, a seconda di ciò che accade, l’uomo realizza o perde i possibili valori morali che la sua dolorosa situazione e il suo duro destino gli consentono, e, a seconda dei casi, è «degno del suo tormento» o non lo è.

 

Intenzione di preghiera settimanale

Preghiamo per le vittime dei lager, dei gulag e dei campi di concentramento della storia dove la dignità della vita umana è stata calpestata, distrutta e umiliata: perché il loro sacrificio non sia inutile. 

 

Don’t Forget! Figure significative del clero bergamasco

Monsignor Berto Nicoli

1923 – 2005

Nacque a Vallalta-Albino il 17-09-1923 primogenito di Antonio e Angela Parietti. Anni dopo don Berto dirà di sé: “Sono nato povero e in seminario sono stato mantenuto dalla povera gente del mio paese” che non l’ha dimenticato e gli dedicherà una piazza nel 2015. Ordinato prete da Mons. Bernareggi il 15-06-1946, il suo primo incarico fu di coadiutore parrocchiale a P.za Brembana dal 1946 al 1954. In quell’anno entrò a far parte della Comunità dei preti “Paradiso” nella quale rimarrà fino al 1985. Desideroso di “ampliare gli orizzonti e spostare sempre più in là i confini” fu inviato a Monterotondo Scalo (Roma) dove rimase dal 1954 al 1962.

Era una zona afflitta da mancanza di clero che l’Istituto fondato da Mons. Bernareggi e don Benzoni si proponeva di aiutare: nel 1956 fu raggiunto da don Giuseppe Ferrari e i due si resero indimenticabili alla popolazione. Ma l’avventura di don Berto era solo agli inizi. In quegli anni il vescovo di La Paz si era rivolto a Giovanni XXIII per avere preti che portassero il vangelo ai poveri della Bolivia e il Papa Buono l‘aveva indirizzato al Vescovo di Bergamo che non esitò a raccogliere la sfida. Così nell’ottobre 1962, nel giorno di apertura del Concilio Vaticano II, a 39 anni don Berto partiva per la Bolivia, come “pioniere di un bel drappello”, disse Mons. Piazzi prevedendo quanto sarebbe diventato consistente, il gruppo di preti bergamaschi inviati in missione. La destinazione era La Paz, Munaypata con l’incarico di aprirvi una parrocchia.

Il nome Munaypata (“collina dell’amore”) segnava un tragico contrasto con la realtà: era un accumulo di case, privo di infrastrutture e abitato da povera gente proveniente dall’altipiano. Don Berto, primo parroco realizzò le strutture religiose (chiesa, casa parrocchiale e delle suore) e coi successori dotò la zona delle necessarie strutture civili e sociali: scuola, ospedale Juan XXIII, campi sportivi, centri zonali ecc. contribuendo allo sviluppo della zona. Non si limitò a Munaypata: aprì anche le parrocchie di Villa Copacabana e del Salvador al Tejar e infine si trasferì a Cochabamba dove subentrò ai Francescani a Sacaba, parrocchia di 40.000 abitanti a poca distanza dal capoluogo, con amplissimo territorio di decine di pueblos.

Qui ebbe il modo di farsi apprezzare e amare a tal punto da essere nominato alcalde (sindaco), compito civile che non sminuì il suo impegno pastorale, ma lo coronò. Realizzazione importante fu la costruzione del nuovo Santuario di Melga. Nominato Cappellano di Sua Santità nel 1972, quando don Capelli terminò il mandato di Superiore, gli subentrò per nomina vescovile nel 1988 e lo restò fino al 1996. Fra i suoi meriti ci fu l’intuizione che gli stranieri sarebbero stati l’emergenza del futuro e si deve a lui (e ad altri preti) la nascita della Ruah, istituzione che ha aiutato a inserirsi nella società bergamasca decine di migliaia di persone da ogni parte del mondo.

Nel 1993 fu nominato Prevosto di S. Croce alla Malpensata e lo rimase fino al 1998. Membro del Consiglio Presbiterale diocesano 1988 al 1996; Prelato d’Onore di S. Santità nel 1989. Nell’anno 2000 fece ritorno in Bolivia e si rifugiò nel Santuario tanto amato. In Italia rientrò per l’ultima volta nel 2004 e morì il 13-6-2005. Nell’ottobre 2007 su pressante richiesta della popolazione boliviana, don Berto fece un trionfale ritorno nel paese andino e venne sepolto nell’amato santuario di Melga dove il suo corpo riposa nell’attesa della risurrezione.