Riflessione del giorno

giovedì 22 marzo ’18

By Patronato S. Vincenzo

March 21, 2018

 

nell’immagine una fotografia di DOROTHEA LANGE

 

Proverbio del giorno

«Se apri l’occhio del tuo cuore potrai vedere cose invisibili (Myanmar)».

 

Iniziamo la giornata pregando (Preghiera colletta)

Risplenda la tua luce, Dio misericordioso, sui tuoi figli purificati dalla penitenza; tu che ci hai ispirato la volontà di servirti, porta a compimento l’opera da te iniziata. Per il nostro Signore Gesù Cristo… 

 

Ascoltiamo la Parola di Dio (Giovanni 8,51-59.)

In quel tempo, Gesù disse ai Giudei: «In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte». Gli dissero i Giudei: «Ora sappiamo che hai un demonio. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Chi osserva la mia parola non conoscerà mai la morte”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti; chi pretendi di essere?». Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria non sarebbe nulla; chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “E’ nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece lo conosco. E se dicessi che non lo conosco, sarei come voi, un mentitore; ma lo conosco e osservo la sua parola.  Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò». Gli dissero allora i Giudei: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero pietre per scagliarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.   

 

Riflessione Per Il Giorno

“Quando Dio creò l’uomo mise in lui un seme celeste, una sorta di capacità più viva e più brillante di una scintilla, perché illuminasse il suo spirito e gli desse il discernimento tra il bene e il male. Lo chiamiamo coscienza, che è la legge innata.” (S. Doroteo di Gaza). Coscienza = cum scientia cioè con consapevolezza. Esercita la sua funzione in caso di decisioni morali personali. Ma l’espressione si è evoluta nel corso della storia. Ciò che oggi chiamiamo coscienza, si indicava originariamente con la parola cuore. Seneca parla di uno spirito che dimora nell’uomo, “che osserva e registra le buone e le cattive azioni”. Secondo Filone Dio lo ha messo nell’uomo e si manifesta con la parola interiore che ci dice il da farsi. E’ la voce di Dio stesso, che parla all’uomo che ha creato. Dunque la voce della coscienza è la prima e fondamentale fonte della rivelazione. Per Adamo in Paradiso era sufficiente, non aveva bisogno di una legge critta. Quella voce fu assordata dal peccato. Perché la coscienza si risvegliasse nuovamente, Dio inviò alla gente i profeti, che parlavano e scrivevano. La coscienza non serve solo ad accusarci del male, ma soprattutto a invitare al bene chi ha imparato ad ascoltarla. In Oriente l’ascolto attento di questa voce è detto “preghiera del cuore”: si tratta infatti di una voce interiore a differenza della voce delle tentazioni e ispirazioni al male, che provengono “dall’esterno”, sono qualcosa di estraneo all’uomo. Lo Spirito Santo, che parla nella nostra coscienza, appartiene a noi, perché noi siamo l’immagine di Dio.

 

Intenzione del giorno

Preghiamo per gli ospiti del Patronato S. V., Nuovo Albergo Popolare, Aeper e delle varie istituzioni caritative bergamasche

Nasce a Cortenuova il 03-07-1913 da Santo Pizzigalli e Teresa Savoldi, terzo di dieci figli tra maschi e femmine: di questa numerosa prole i genitori faranno una piccola popolazione di periti, ingegneri, dottori, preti, professori, maestre. Qualche anno dopo la famiglia si trasferisce a Bergamo, dove il papà conduce un’azienda agricola in affitto. Gianmaria entra in Seminario dove conduce il percorso di studi e formazione fino all’ordinazione sacerdotale il 24 giugno 1939 e da subito entra a far parte della comunità dei preti del Patronato di don Bepo, che già da chierico aveva preso a frequentare come assistente educatore. Di alta statura, fronte tesa, capigliatura compatta (più tardi per la bianca chioma e la notevole altezza sarà affettuosamente detto “Monte Bianco”), corporatura vigorosa e atletica, Gian Maria Pizzagalli fu uno dei primi chierici assistenti ad arrivare nel mondo rumoroso del Patronato e a scoprire di avere nei suoi confronti singolari e vistose affinità. Nel 1940 muore il papà, Santo Pizzigalli, non senza aver lasciato il segno della sua esperienza di agronomo nella piantagione di mele e pere della Casa di S. Paolo d’Argon. Negli anni dolorosi della 2.a guerra mondiale muore il fratello Ottavio, giovanissimo professore e tenente degli Alpini, caduto sul fronte Iugoslavo. Nel frattempo don Gianmaria si fa conoscere ed apprezzare per la franca cordialità, la disciplina bonaria e soprattutto un’indole versatile che permetteranno di assegnargli gli incarichi più disparati e spesso…disperati! E’ “delegato ad omnia” ogni volta che serve ed è definito dai colleghi “ministro degli esteri” per le relazioni che intrattiene con i pubblici uffici.

Di volta in volta è stato vicerettore di camerata, economo generale, segretario, autista, organizzatore di pellegrinaggi e di colonie ecc. Come se tutto questo non bastasse è anche stato cappellano dell’ospedale neuropsichiatrico, mitico direttore dell’Istituto Bonomelli – Albergo Popolare dal 1945 al 1988, cappellano dei nomadi e giostrai, e dal 1991 nominato cappellano di Sua Santità, cioè monsignore. Così è stato scritto di lui: “Gigante di disponibilità così come lo è stato nella corporatura, capelli bianchi e aguzzi da sempre, faccia perennemente rossa, sorriso aperto, statura da bronzo di Riace, una vera istituzione nell’istituzione, conosciuto ovunque, proprio come don Bepo!”. Mons. Pizzigalli è stato un prete molto generoso che ogni giorno ha sventolato la bandiera della carità concreta verso tutti. Il suo stile di vita è stato quello di dare, dare e dare a tutti con generosità, esponendosi personalmente. E’ lui che accoglie i diseredati dell’Albergo Popolare, che cerca un lavoro ai disoccupati, che accompagna in ospedale i malati e visita i detenuti; è lui che organizza un dignitoso funerale ai senzatetto. Quando trova un lavoro per qualcuno dei suoi assistiti più scalmanati, lo prega di comportarsi bene, specialmente all’inizio: “Sta’ ‘mpé almeno ‘ntat che te ende” (rimani in piedi almeno finché ti vendo). Nessuno saprà mai quanta gente ha trovato, per merito suo, un posto di lavoro o quanti infelici sono stati da lui aiutati a rimettersi sulla strada della legalità e su quella vera e profonda del buon ordine morale. Si spegne il 22 marzo 2005 a 91 anni.