30. settimana tempo ordinario
Proverbio del giorno
Assicurati che la candela sia accesa, prima di spegnere il fiammifero. (Antille)
Santo del giorno – MARTIN DE PORRES
nasce a Lima nel 1579. Suo padre è l’aristocratico spagnolo Juan de Porres che non vorrebbe riconoscerlo, perché la madre è un’ex schiava nera d’origine africana. Nominato governatore del Panama, il padre lascia Martino alla madre, con i mezzi per farlo studiare. Martino diventa allievo di un barbiere-chirurgo, ma vorrebbe entrare fra i Domenicani, che hanno fondato a Lima il loro primo convento peruviano. Come mulatto viene accolto solo come terziario e gli vengono assegnati solo compiti umili. Quando i Domenicani avvertono la sua energia interiore lo tolgono dalla condizione subalterna, accogliendolo come fratello cooperatore. Vengono da lui per consigli il viceré del Perù e l’arcivescovo di Lima e lo trovano circondato da poveri e da malati. Quando a Lima arriva la peste, cura da solo i 60 confratelli. Per tutti è l’uomo dei miracoli: fonda a Lima un collegio per istruire i bambini poveri: il primo del Nuovo Mondo. Guarisce l’arcivescovo del Messico, che vorrebbe condurlo con sé. Ma Martino muore a Lima nel 1639.
Parola di Dio del Giorno Lc 14,15-24
Uno dei commensali disse a Gesù: «Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!». Gli rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: “Venite, è pronto”. Ma tutti, uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Mi sono appena sposato e perciò non posso venire”. Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi”. Il servo disse: “Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto”. Il padrone allora disse al servo: “Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia. Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena”».
Riflessione del giorno (mattutino di Mons. Ravasi)
La misericordia di Dio è come il cielo che rimane sempre fermo sopra di noi. Sotto questo tetto siamo al sicuro, dovunque ci troviamo. È una parola di Martin Lutero. Nella Bibbia il cielo è considerato come una calotta metallica (il “firmamento”) che incombe stabile sulla terra. È la stessa immagine che Lutero usa per descrivere la bontà misericordiosa di Dio: essa è il tetto della casa del mondo ove gli uomini e le donne vivono, agiscono, peccano, pregano, amano. Su questa folla, quindi, non è fisso un occhio che atterrisce. Certo “il Signore dal cielo si china sui figli dell’uomo per vedere se c’è un uomo saggio, uno che cerchi Dio”. E la scoperta che spesso fa è «che essi sono tutti traviati, tutti corrotti» (Salmo 14, 2-3). C’è, dunque, uno sguardo di giustizia; ma a prevalere è l’occhio sorridente dell’amore paterno. E a questo punto vorremmo accostare a quello di Lutero un passo del Diario di Etty Hillesum, donna ebrea olandese di grande intelligenza e spiritualità, assassinata dai nazisti. Come lei scrive, è «una buffa immagine», eppur profonda: anche noi nelle nostre case, nei nostri cuori possiamo offrire un tetto a Dio perché dimori con noi e in noi. Ecco le sue parole: «Ti prometto, o Dio, che cercherò sempre di trovarti una casa, un ricovero. Io mi metto in cammino e cerco un tetto per te. Ci sono tante case vuote, te le offro come all’ospite più importante». È questa la continuazione ideale della mini-parabola del Cristo dell’Apocalisse: «Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (3, 20).
Intenzione del giorno
Preghiamo per i defunti dimenticati e per le vittime dell’indifferenza umana.
Don’t forget! “I 1.000 quadri più belli del mondo”
Rosalba Carriera nacque a Venezia nel 1673 da famiglia borghese: il padre era Cancelliere e la madre, sapiente merlettaia. Assieme alle sorelle ricevette un’educazione completa per l’epoca, studiando belle lettere e poesia, inglese e francese e imparando a suonare il violino. All’inizio si applicò alla realizzazione di miniature su osso e avorio, per decorare tabacchiere e cofanetti e gioielli. Ma la sua fama andò crescendo e dilagò ben oltre i confini della repubblica di Venezia: lavorò per la corte di Francia, gli Asburgo e i reali inglesi. Dopo il 1700 circa si concentrò sulla produzione di ritratti su carta con la tecnica del pastello, che in quel periodo viveva una stagione felice, poiché incarnava le richieste estetiche di aristocratica grazia e suadente delicatezza dei committenti. La sua casa divenne un grande atélier dove Rosalba, aiutata dalla sorella Giovanna e altre allieve, ospitava committenti di ogni estrazione sociale senza sudditanza intellettuale. I suoi pastelli – raffinati per cromie, leggerissimi per realizzazione, intessuti di sottile interpretazione psicologica, e orchestrati tra una moderata idealizzazione e perspicacia fisiognomica – decretarono il successo della pittrice in tutta Europa. Se nei ritratti per i suoi committenti Rosalba instilla una misurata blandizie, nei suoi autoritratti la pittrice si scruta senza artifici, non mascherando la sua scarsa avvenenza, come nel quadro che presentiamo: l’artista si ritrae in atteggiamento professionale, mostrando allo spettatore il ritratto della sorella Giovanna, da lei eseguito e col pennello indica il difficile ricamo che orna la veste. Leggerezza e mobilità di tocco, estrema attenzione al mutare della luce, sottile psicologia: questi, sembra dirci la Carriera esibendo i requisiti dell’eccellente ritrattista. I suoi ritratti infatti, risultano essere sempre vivi, non appesantiti dalle rigidità delle pose o dalla severità degli abiti e i suoi colori sembrano addirittura cangianti. Rosalba Carriera morì il 15 aprile 1757.