Proverbio del giorno
«Chi è contento del suo non incontra sfortuna (Cina)».
Iniziamo la Giornata Pregando (preghiere dei santi)
Signore Gesù, insegnaci a portare la nostra croce ogni giorno e a seguirti, con volontà generosa di riparare i nostri peccati e quelli dell’umanità. Tu che ci hai salvato, rendici salvatori dei nostri fratelli: come tu hai dato la vita per noi, così fa’ che doniamo la vita per gli altri. Rendici gioiosi testimoni della tua risurrezione, e mantieni viva in noi la speranza della gioia che hai promesso ai tuoi fedeli, o Cristo Gesù, Nostro Signore. Amen
Pier Crisologo
Consacrato nel 433 vescovo di Ravenna, da Papa Sisto III fu detto «Crisologo» cioè «parola d’oro». Dai documenti che di lui possediamo, circa 180 sermoni, emerge veramente chi era, con una cultura apprezzabile in quei tempi e tra quelle vicende, e soprattutto col calore umano e lo schietto vigore della sua fede.
Ascoltiamo la parola di Dio Matteo 13,36-43.
I discepoli si accostarono a Gesù per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno, e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda!».
La riflessione del giorno (Mons. Ravasi: Mattutino)
Su venti persone che parlano di noi, diciannove ne dicono male e la ventesima, che ne dice bene, lo dice male. Non direte mai tanto male di me, quanto io ne penserei di voi, se pensassi a voi. Quella di oggi è una riflessione al vetriolo. A suggerirmela è stato lo scrittore satirico francese Antoine Rivarol (1753-1801). Che sparlare degli altri sia un esercizio che dà soddisfazione è verità incontrovertibile perché -se siamo sinceri- siamo noi per primi a provarla. La mormorazione è una prassi che può essere inoffensiva se rimane a livello di pettegolezzo, ma diventa pericolosa e una vera piaga (e un peccato) se si trasforma in calunnia che aggredisce con cattiveria e odio sottile l’altra persona. Rivarol, nella prima frase sopra citata, ci disillude quando crediamo di essere ammirati: sono di più i maldicenti, e anche chi ti loda forse lo fa con scarso entusiasmo e non come tu desidereresti. Che questa sia una triste e costante consuetudine, come sopra si diceva, lo ribadisce la seconda battuta desunta da Jules Renard, l’autore ottocentesco di Pel di carota. Se rileggete le sue parole, vi accorgete che c’è una punta di malizia e di cattiveria in più. In pratica si mette come vertice del disprezzo non il parlar male, ma l’ignorare l’altro, il non pensare a lui, non considerandolo meritevole di attenzione. Fermiamoci qui e andiamo a rileggere nel Vangelo il monito di Cristo su chi insulta il fratello (Mt 5,22).
Intenzione del giorno
Preghiamo per i nostri amici e per tutti quelli che ci hanno fatto e fanno del bene
Don’t Forget! – 274° de: 1000 quadri più belli del mondo
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Alonso Cano (1601–1667) è unico tra gli artisti spagnoli del Seicento che, oltre a essere pittore, era progettista, architetto e scultore. Anche suo padre era un artista. Formatosi alla scuola di Francisco Pacheco insieme a Velasquez, lasciò Siviglia nel 1638 e proprio grazie a Velasquez fu chiamato alla corte di Madrid, dove si attivò nella decorazione pittorica delle fabbriche reali. Nel 1644 fu accusato di aver ucciso la propria moglie, per questo si rifugiò a Valencia e si fece frate. Dopo aver ottenuto la protezione di Filippo IV, rientrò a Madrid e assunse l’incarico di sovrintendente della cattedrale di Granada.
Questo dipinto è stato realizzato per essere visto dal basso verso l’alto e per essere collocato in qualche palazzo reale e rappresenta due re del X° secolo, in pieno medioevo spagnolo: Sancho I° di Leon, detto “il grasso” (935-966) che fu re di León a due riprese, e il suo figlio Ramiro III° che fu re di León dal 966 al 984. Sancho era diventato re di Leon alla morte del suo fratellastro, ma due anni dopo fu detronizzato dai nobili di Leon e Castiglia insofferenti della sua autorità e mossi da altri motivi tra cui la sua estrema obesità che lo rendeva deforme e che gli impediva persino di cavalcare. Sancho si rifugiò allora in Navarra, dalla nonna, regina Toda, che fece in modo di fargli recuperare il trono, ma prima lo sottopose con l’aiuto della medicina musulmana del Califfato di Cordoba, a una drastica dieta in seguito alla quale dimezzò il peso. Qui il pittore rappresenta con il re addobbandolo come un sovrano del XVII secolo e con baffi e barbetta alla moda del Siglo de Oro. Il carattere pacioso del Re oltre che dalla rotondità del volto, è sottolineato anche dal manto decorato a fiori e dalla fodera rosata, dalla mano paffuta che si apre ai sudditi come a rassicurarli e dalla disinvoltura della posa (non teme di mostrare il piede) in atteggiamento conciliante, sottolineato anche da come tiene lo scettro: con due dita, come se quel simbolo di potere gli fosse di impiccio…per non parlare poi dell’estemporaneo trono barocco in cui è sprofondato come se fosse in poltrona. E’ evidente nel pittore un intento ironico, mitigato però dalla visione bonaria di questo sovrano che cercò l’accordo in un mondo diviso e pieno di conflitti come la Spagna del tempo. Di tutt’altro segno il figlio Ramiro III: lo sguardo di traverso, rispetto a quello frontale del padre, gli occhi sospettosi, il modo di sedere in quel trono essenziale a far capire che lui non riposa, ma vuole comandare (si notino i braccioli a forma di teste di mastino); il manto azzurro senza fronzoli che lo copre come una corazza, lo scettro afferrato con forza e che sembra continuare nella spada che sbuca tra le ginocchia…tutto quanto allude a una reggenza segnata da pesanti sconfitte con i musulmani e da conflitti continui con i Re cristiani della penisola oltre che alla tragica fine: morì infatti avvelenato dopo essere stato detronizzato ed esiliato. Insomma il pittore non si limita a rappresentare due antichi re del Regno Vandalo come se fossero suoi contemporanei, ma riesce a esprimerne la psicologia e a raccontarne la vicenda storica in un modo sorprendentemente efficace e convincente.
nell’immagine in dipinto di Alessandro Busci