9. parola “MATURITÀ’”
È difficile parlare di maturità in un mondo che sembra aver fatto dell’immaturità una condizione di vita; in cui si diventa ragazzi a 8/10 anni e si rimane tali fino ai sessanta; in cui l’adolescenza si è dilatata a tempi biblici. La parola maturità è diventata un eufemismo in un tempo di “forever young” in cui dire di una persona che è vecchia è considerato un intollerabile insulto. Octavio Paz ha scritto: «Una nazione si corrompe quando corrompe la sua sintassi, il suo linguaggio» e l’ambito semantico della maturità è tra i più corrotti del mondo moderno, dato che ciò che importa non è più ciò che si è, ma come si appare.
Nel mondo antico l’uomo/la donna adulto/a, maturo/a era il punto di arrivo dello sviluppo umano: nella scala della vita al primo gradino c’era il neonato, poi si andava su fino alla cima rappresentata dalla coppia col figlio, per poi discendere fino all’anziano. Anche i termini riferiti alle varie età erano precisi: infante-bambino-fanciullo-ragazzo-adolescente-giovane-adulto-maturo- anziano…tutti spazzati via. È perciò necessario che ricominciamo a chiederci: che significa maturità?
Può aiutarci il riferimento al mondo naturale: l’albero è considerato maturo quando dà frutti. Si badi bene, non quando fiorisce (che è il momento più bello del suo sviluppo, ma anche il più effimero) né quando si copre di foglie (se i fiori = sentimenti, le foglie = parole), ma quando dà i frutti che per noi sono i fatti, le uniche realtà a contare davvero. Ne consegue che il primo segnale del raggiungimento della maturità è la capacità di fare scelte e di prendere decisioni.
La capacità di decidere suppone il raggiungimento di un sufficiente livello di autonomia, mentre la capacità di scegliere esige l’esercizio della responsabilità. È così che i 3 obiettivi dell’educazione (autonomia + responsabilità = maturità) si comprendono e completano l’uno nell’altro, fino a creare la persona umana matura. Si è paragonato l’uomo all’albero, ma l’uomo è ben altro: la maturità umana infatti ha a che fare con due dimensioni fondamentali della persona, la sua intelligenza e la sua volontà.
Parlando di maturità nell’intelligenza ci riferiamo alla persona aperta alla verità e alla realtà. La persona matura è quella che sa stare nella realtà cioè non si difende dalla essa rifugiandosi nel sogno, nell’immaginazione, nel mondo virtuale del web o quello parallelo del metaverso come si fa oggi, ma affronta con coraggio i problemi, non semplifica ciò che è complesso, non chiude gli occhi di fronte a ciò che non piace o che costa…Ma per fare questo occorre avere un grande amore alla verità: la verità su chi sono io, su chi sono gli altri, su ciò che accade nel mondo e su chi è Dio per me e in sé. L’altra dimensione della maturità ha a che fare con “la volontà”, che si manifesta in 3 dimensioni: perseveranza, accettazione e procedimenti.
1) Chi è maturo persevera, non distoglie lo sguardo dalla meta e per raggiungerla si impegna a superare gli ostacoli.
2) Altra dimensione della “volontà” è l’accettazione di sé e degli altri, non solo nelle qualità buone, ma anche in quelle imperfette, impegnandosi a migliorarle, aprendosi a un futuro migliore.
3) La persona che ha una “volontà” matura entra nei “procedimenti” della vita, accettando di essere di volta in volta discepolo (lasciandosi formare dagli altri) o maestro (aiutando a formare gli altri).
S. Caterina da Siena diceva che è necessario che ognuno coltivi la propria vigna. Infine c’è una maturità anche di fede che S. Paolo esprime così: “finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di un uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Efesini 4,13).