2. settimana di pasqua
Avvenne il 10 aprile…
1912 – Il transatlantico RMS Titanic salpa da Southampton, iniziando il fatale viaggio inaugurale
1919 – Rivoluzione messicana: Emiliano Zapata è ucciso dalle forze governative a Morelos
1991 – Il traghetto Moby Prince si scontra con una petroliera, provocando 140 morti
2010 – In un incidente aereo, muore il presidente polacco Lech Kaczyński con la moglie e diversi esponenti di primo piano dell’esercito polacco; nessun sopravvissuto dei 94 passeggeri.
Aforisma dal libro dei proverbi
Correggi tuo figlio finché c’è ancora speranza, non diventare complice della sua morte.
Preghiera
O Padre, che nella Pasqua del tuo Figlio hai ristabilito l’uomo nella dignità perduta e gli hai dato la speranza della risurrezione, fa’ che accogliamo nell’amore il mistero celebrato ogni anno nella fede.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Santo del giorno
Nata a Verona nel 1774 da una delle famiglie più illustri nella Italia del tempo, resta orfana di padre ed è abbandonata dalla madre, così che a 7 anni viene affidata a un’istitutrice. A 17 si trova nel Carmelo di Trento e poi in quello di Conegliano (Tv).
Tornata a casa, nel 1801 ospita nel palazzo di famiglia due povere ragazze. Nel 1808 inizia con altre ragazze in difficoltà un’esperienza di vita in comune presso l’ex convento delle Agostiniane veronesi: nascono le Figlie della Carità, suore educatrici dei poveri.
È la stessa Maddalena a scriverne le regole nel 1812, a Venezia. Maddalena ottiene l’assenso pontificio da Pio VII; in seguito si reca a Venezia, a Milano e poi a Bergamo e a Trento, per fondare nuove sedi e scuole.
La sua residenza patrizia veronese accoglie ragazze povere, strappate alla miseria per renderle protagoniste della loro vita. Mentre prepara l’apertura di altre sedi a Brescia e a Cremona nel 1835 la morte la coglie a Verona.
Parola di Dio del giorno Giovanni 3,16-21
In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate.
Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
Riflessioni di don Primo Mazzolari
L’impegno ci spinge più in là: verso qualcuno che resti anche quando noi passiamo; verso qualcuno che ci prende in mano il cuore, se il cuore non regge al salire. L’uomo non è un valido appoggio per l’uomo: nessun uomo, neanche quelli che si offrono come maestri e guide.
Non è piacevole perdere la firma di un garante, ma sulla cambiale della nostra vita non conviene farci scrivere nomi che, alla scadenza, non possono far fronte all’impegno. Se c’è una situazione che va mutata nella cristianità di oggi è quel rimanere senza convinzione e senza amore nella casa del Padre.
Piuttosto di rimanere alla finestra come tanti cristiani ci rimangono, e vedere la vita di là come desiderabile, e avere l’impressione che questa casa del padre sia una prigione, e non avere la gioia e la passione di questa casa: questo non è uno stare nella casa, questo è occupare la casa con qualcosa che non gli conviene.
Intenzione di preghiera
Per quanti sono preposti ai mezzi di comunicazione sociale, perché siano sempre umili cercatori e servitori della verità.
Don’t Forget! Storia dei martiri cristiani
La “Svizzera d’Africa” (così era considerato il Burundi) negli anni ‘90 fu attraversata da sanguinosi scontri tribali, che opposero la maggioranza Hutu ai minoritari Tutsi. È uno scandalo che ciò sia avvenuto in un paese al 99% cristiano e per il 75% cattolico. Inevitabile che la situazione del paese si riflettesse anche in scuole e seminari che misero in atto una rigida suddivisione di dormitori, spazi di gioco e aule tra le due etnie.
Ma il Seminario di Buta, diocesi di Bururi, fu un’isola felice e un esempio di serena convivenza, grazie al nuovo rettore che lavorava molto per abbattere le frontiere e per creare un clima di amicizia tra gli studenti. Il suo accompagnamento spirituale riuscì a far superare il clima di odio e vendetta che si respirava ovunque. «Dio è buono: noi l’abbiamo incontrato», ripetevano, al ritorno dal ritiro nella loro ultima Pasqua.
Col Seminario presidiato dai militari tutsi, sotto la martellante istigazione alla violenza propagandata dalla televisione, i giovani seminaristi cercarono di farsi forza e coraggio, mantenendo inalterato il ritmo delle attività quotidiane e la loro unione, al di là dell’odio etnico che la politica cercava di instillare. All’alba del 30-4-1997, verso le 5.30, un gruppo di uomini del Consiglio Nazionale per la Difesa della Democrazia (C.N.D.D.), ribelli hutu, guidati da una donna, attaccò il Seminario.
All’epoca gli allievi erano 250, divisi in due camerate: quella per i ragazzi tra i 13 e i 15 anni e quella per gli studenti fino ai 24 anni. I militari entrarono nella 2.a camerata, ordinando ai ragazzi di separarsi: gli hutu da una parte, i tutsi dall’altra, ma essi si presero per mano, mentre qualcuno esclamava: «Siamo tutti burundesi, siamo tutti figli di Dio». A quel punto, gli aggressori si scagliarono sui ragazzi e li massacrarono a colpi di fucili e granate. Altri ancora cercarono di aiutare i loro fratelli agonizzanti, sapendo che in tal modo li avrebbe attesi la medesima sorte.
Jolique Rusimbamigera, fu ferito gravemente, ma scampò al massacro e rese la seguente testimonianza alla presenza di Giovanni Paolo II il 7-5-2000: «Erano tantissimi… Sono entrati nel nostro dormitorio, quello delle tre classi del ciclo superiore e hanno sparato in aria per svegliarci… Subito hanno cominciato a minacciarci e, passando fra i letti, ci ordinavano di dividerci, hutu da una parte e tutsi dall’altra.
Erano armati fino ai denti: mitra, granate, fucili, coltellacci…Ma noi restavamo raggruppati! Allora il loro capo si è spazientito e ha dato l’ordine: “Sparate su questi imbecilli che non vogliono dividersi”. I primi colpi li hanno tirati su quelli che stavano sotto i letti…Mentre giacevamo nel nostro sangue, pregavamo e imploravamo il perdono per chi ci uccideva. Sentivo i miei compagni che dicevano: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Io pronunciavo le stesse parole dentro di me e offrivo la mia vita nelle mani di Dio».