Riflessione del giorno

mercoledì 3 luglio ’19

By Patronato S. Vincenzo

July 02, 2019

 

 

nell’immagine un dipinto di Joseph Lorusso

 

 

Proverbio del giorno

Meglio avere meno tuoni nella bocca e più luce nella mano. (Navajo)

 

Iniziamo la giornata pregando

Signore, metti sulle mie labbra parole rette e giuste, affinché io cresca in fede, speranza e amore, nella purezza e umiltà, nella pazienza e obbedienza, nel fervore dello spirito e del cuore. Donami la luce di cui ho bisogno. Fa’ che sappia adattarmi al carattere, alle disposizioni e capacità di ciascuno e impari ad accettare i suoi limiti, secondo i tempi e i modi che tu giudicherai convenienti. Amen

 

Tommaso

Apostolo Chiamato da Gesù, gli facciamo torto ricordando solo il suo momento famoso di incredulità: lui è ben altro che un seguace tiepido. Ma credere non gli è facile: dice le sue difficoltà, si mostra com’è, ci somiglia. Dopo la morte e risurrezione del Signore, esige di toccare con mano, ma quando Gesù viene esclamerà: «Mio Signore e mio Dio!». A metà del VI secolo, un mercante scrisse di aver trovato nell’India meridionale gruppi di cristiani e di aver saputo che il Vangelo fu portato in quelle terre lontane dallo stesso S. Tommaso apostolo

 

Ascoltiamo la parola di dio (Gv 20,24-29)

Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!». 

 

Riflessione Per Il Giorno (Frammenti di vita)

Domenica mattina ore 8,00: alla S. Messa per gli africani di rito cattolico con il tempo si sono aggiunti anche non pochi italiani ed europei che fanno riferimento alla stazione, attirati in chiesa non solo né tanto da motivazioni di fede, ma forse più prosasticamente dalla colazione e dalla piccola mancia che serve a comprarsi un kebab, visto che di domenica la mensa è chiusa. Alcuni però arrivano ben prima dell’orario e si premurano di occupare subito alcune sedie disposte lungo le pareti laterali o del fondo. Non riuscendo a cogliere il nesso logico fra l’arrivare con tanto anticipo e l’occupare i luoghi meno adatti a seguire la liturgia, alla fine della Messa sono andato a vedere cosa avessero di speciale quei posti per essere così ambiti ed ho scoperto che tutti erano vicini a una presa elettrica. In altre parole questi tizi che fanno vita di strada, arrivavano prima per poter caricare il cellulare in tutta calma senza correre il rischio che qualcuno glielo rubi, approfittando di una disattenzione. A pensarci bene questo comportamento non è strano: anche il più convinto dei fedeli va in chiesa la domenica per ricaricare le batterie…non quelle del telefonino certo, ma quelle del cuore.    

 

Intenzione del giorno

Perché i cristiani rendano presente in ogni ambiente di vita la parola divina di amore e di pace

 

Filippo Neri nacque a Firenze il 21 luglio 1515 da Francesco e Lucrezia da Mosciano. Sono poche le notizie sulla sua infanzia: la sorella Elisabetta lo descrive allegro e altruista, tanto da essere detto “Pippo il buono”, ma non particolarmente devoto alla Chiesa. Negli anni della fanciullezza frequentò il convento di S. Marco nel quale venne a contatto con la spiritualità del Savonarola, ancora viva negli anni della crisi politica della repubblica e dell’assedio di Firenze (1527-1530). Filippo lasciò la città all’età di 18 anni per recarsi a lavorare prima in Campania poi a Roma dove rimase fino alla morte: conobbe una città corrotta e pericolosa, sì, ma nel pieno di profondi mutamenti, soprattutto religiosi e spirituali, sono infatti gli anni della Controriforma cattolica e del Concilio di Trento. Nel suo primo periodo romano, Filippo Neri, si impegnò come precettore in casa di un uomo d’affari fiorentino, frequentò corsi di teologia e filosofia all’Università La Sapienza, e si recò in continuo pellegrinaggio nei luoghi dei primi cristiani, catacombe o antiche basiliche. Nel 1548 collaborò con il suo confessore, Persiano Rosa, alla fondazione della Confraternita della SS. Trinità dei Pellegrini e dei convalescenti, che avrebbe avuto un importante ruolo nell’assistenza ai poveri pellegrini, in particolare negli anni Santi del 1550 e del 1575. Nel 1551 fu ordinato prete ed entrò a far parte della comunità sacerdotale della chiesa di S. Girolamo della Carità, in pieno centro della città. Qui Filippo iniziò un’esperienza pastorale significativa, che lo vide impegnato con le classi meno abbienti della città nella direzione spirituale, nella confessione e nella spiegazione delle Sante Scritture. Radunò attorno a sé un gruppo di ragazzi di strada, avvicinandoli alle celebrazioni liturgiche e facendoli divertire, cantando e giocando senza distinzioni tra maschi e femmine, in quello che sarebbe, in seguito, divenuto l’Oratorio, sviluppatosi attorno alla Chiesa di S. Maria della Vallicella.

Per il suo carattere burlone, fu anche chiamato il «santo della gioia» o il «giullare di Dio» Negli anni successivi quell’esperienza fu approvata da papa Gregorio XIII nel 1575. Uno dei principi più originali, forse la caratteristica più singolare su cui si fonda l’opera del Neri, è quello della secolarità della Congregazione: l’unione tra i sodali non prevede voti e giuramenti di nessun tipo. La Congregazione è una compagnia di persone appartenenti a stati diversi (laici, preti, poveri, nobili) e legati da una stretta amicizia. Tale amicizia è nutrita da frequenti momenti di vita comune, ma priva di vincoli formali. Nell’esperienza è centrale l’attrazione esercitata dalla figura di Filippo Neri, insieme alla vita spirituale dell’Oratorio e alle pratiche di pietà e di assistenza che attorno ad esso si sviluppano. A Filippo Neri e ai suoi compagni viene affidata la cura della parrocchia di S. Maria in Vallicella. Per la santificazione dei fedeli la congregazione filippina sceglie lo strumento dell’Oratorio. In esso ogni giorno, ad esclusione del sabato e della domenica, i padri predicano gli esercizi spirituali. Le attività sono varie: letture spirituali, predica di sermoni, narrazione delle vite dei santi e dei padri della Chiesa, lezioni di storia della Chiesa, canto di laudi spirituali, preghiera comune. Il campo di azione degli oratoriani fu, come si è detto, la città di Roma: nel ‘500 e ‘600 la capitale è cosmopolita e internazionale. La popolazione raddoppia e cresce, inevitabilmente, anche il numero dei poveri che a Roma cercano rifugio. Per far fronte ai bisogni, la Chiesa crea un’ampia rete ospedaliera.

Le motivazioni religiose all’assistenza si approfondiscono insieme a rinnovati sentimenti di solidarietà e di pietà verso il povero. Tra tali esperienze si colloca l’assistenza ai malati in ospedale svolta dall’Oratorio. Per Filippo Neri e i suoi compagni, la visita ai malati e l’accompagnamento alla “buona morte” favoriscono l’elevamento spirituale della vita personale e comunitaria. Anche la Confraternita per i malati e i convalescenti, che assiste i pellegrini durante gli anni santi, è opera di Filippo Neri. Vi partecipano semplici fedeli, preti, vescovi e cardinali. In qualche occasioni è il papa stesso ad andare a lavare i piedi ai pellegrini e servire loro i pasti. Così, dopo un lungo viaggio, i pellegrini del Giubileo scoprono non solo gli splendidi monumenti romani, ma la carità della comunità cristiana. Alla morte di Filippo, avvenuta il 26 maggio del 1595, tanti romani lo considerarono santo prima della canonizzazione avvenuta nel 1622 e il suo culto si diffuse rapidamente in città, tanto da poter essere definito un “santo romano”.