Riflessione del giorno

mercoledì 9 settembre ’20

By Patronato S. Vincenzo

September 08, 2020

 

 

 

nell’immagine un dipinto di August Macke

 

XXIII Settimana t. Ordinario

 

 

Iniziamo la Giornata Pregando

“O Padre, che scegli i piccoli e i poveri per farli ricchi nella fede ed eredi del tuo regno, aiutaci a dire la tua parola di coraggio a tutti gli smarriti di cuore, perché si sciolgano le loro lingue e tanta umanità malata, incapace perfino di pregarti, canti con noi le tue meraviglie. Per il nostro Signore Gesù Cristo…Amen”.

 

Pietro Claver

Nato a pochi km da Barcellona nel 1580, Pietro Claver entra nella Compagnia di Gesù. Studia filosofia ed è ordinato sacerdote nel 1616: diventato missionario, presta le sue cure agli schiavi neri, deportati dall’Africa dove a migliaia, quasi tutti giovani invecchiano e muoiono presto per la fatica e i maltrattamenti e l’abbandono se invalidi. Fa il voto di essere «schiavo degli Etiopi» (cioè i neri) e per comprendere i loro problemi impara la lingua dell’Angola. Ammalatosi di peste, sopporta i maltrattamenti del suo infermiere, un nero. Muore a 74 anni.

 

 

 

Intenzione del giorno

Preghiamo per gli educatori alla fede, genitori, catechisti

Nacque a Castelnuovo d’Asti (oggi Don Bosco) il 15-1-1811 e morì a Torino il 23-6-1860. Giuseppe Cafasso fu un sacerdote santo che direttamente o indirettamente formò a sua volta sacerdoti santi. E rimase accanto ai carcerati, accompagnando al patibolo i condannati a morte.  A giudizio unanime è una delle radici profonde della “Torino dei santi sociali”, maturata in un contesto socio-economico non facile, segnato dai moti risorgimentali, da élite liberali spesso laiciste, massoniche, anticristiane, dalla crescente industrializzazione che portò a fenomeni migratori dalle campagne verso la città che generarono un inurbamento caotico e gravido di tensioni. Nato da famiglia contadina, Giuseppe era terzo di tre figli: la sorella Marianna fu madre del beato Giuseppe Allamano (1851-1926), fondatore dell’Istituto Missioni Consolata. Gracile e minuto, «era quasi tutto nella voce», diceva don Bosco, ma fu un gigante nello spirito. Fu ordinato prete il 21-9-1833 e l’anno dopo avvenne l’incontro con don Luigi Guala (1775–1848), insigne moralista e teologo, di cui divenne collaboratore e col quale fondò il Convitto di S. Francesco d’Assisi per la formazione del clero torinese, dove don Cafasso entrò nel 1834. Padre spirituale, direttore di anime, consigliere di vita ascetica ed ecclesiastica, formatore di preti, Cafasso fu rettore per 24 anni del Convitto ecclesiastico, che nel 1870 si trasferì al Santuario della Consolata, dove riposano le sue spoglie.

«Le sue lezioni erano attraenti -osserva la storica Cristiana Siccardi- perché costruite sulle verità di fede e sul sapiente bagaglio di conoscenze, ma anche palpitanti di documentazione raccolta dal vivo nel confessionale, al capezzale dei morenti, nelle missioni predicate al clero e al popolo, e nelle carceri. Uomo di sintesi e non di pedanti trattazioni, combatté il rigorismo di matrice giansenista. Voleva fare di ogni sacerdote un uomo di Dio splendente di castità, di scienza, di pietà, di prudenza, di carità; assiduo alla preghiera, alle funzioni religiose, al confessionale, devoto di Maria SS e attingente forza dal Santo Sacrificio. Primo dovere del prete, diceva, era quello di essere santo per santificare». Fu confessore della serva di Dio Giulia Falletti di Barolo (1786-1864) e fra i sacerdoti da lui formati vanno ricordati S. Giovanni Bosco, il beato Francesco Faà di Bruno (1825-1888), il beato Clemente Marchisio (1833-1903), Lorenzo Prinotti (1834-1899) fondatore dell’Istituto dei sordomuti poveri; Adolfo Barberis (1884–1967), fondatore delle Suore del Famulato Cristiano. S’adoperò per la conversione dei peccatori. Non a caso era assiduo delle prigioni cittadine, tanto da rimanervi fino a tarda notte, a volte tutta la notte. Portava sigari e tabacco da fiutare, al posto della calce che i carcerati raschiavano dai muri; ma soprattutto portava a conversione ladri e assassini efferati. A volte erano lenti e tormentati pentimenti, altre volte, invece, si trattava di conversioni immediate, che avvenivano anche a pochi istanti prima dell’impiccagione. Il «prete della forca» com’è stato chiamato, usava grande misericordia e aveva un’intuizione prodigiosa dei cuori, e trattava i suoi «santi impiccati» come «galantuomini», tanto che il colpevole sentiva così forte l’amore paterno di Dio da volersi unire a lui, come il buon ladrone, crocefisso accanto a Gesù sul Calvario. 

 

Federico è stato un vulcano per impegno in diversi ambiti: grande e instancabile lavoratore, fondò la METALCAR di Grassobbio, azienda metalmeccanica che ha raggiunto ruoli di livello. Da ricordare anche l’encomiabile impegno nelle istituzioni, soprattutto in quelle di carattere sociale. Infine, era un grande sportivo, un eccellente giocatore di calcio, tifoso dell’Inter ma anche dell’Atalanta che andava spesso a vedere allo stadio. Federico veniva etichettato come “gentleman esuberante e spassoso” in grado di calamitare schiere di amici, che gli volevano bene e che lo apprezzavano anche per la sua memoria di ferro. Infatti non si dimenticava di niente, si poteva contare su di lui per qualsiasi cosa e era in grado di risolvere qualsiasi problema. È stato un grande esempio di uomo per tutte le persone che gli stavano attorno, preciso e puntuale sul lavoro, ma anche tanto generoso e affabile.