Riflessione del giorno

Pininfarina

By Patronato S. Vincenzo

December 18, 2015

Quando ci capitava di passare per Borgo San Paolo, arrivati all’angolo tra corso Peschiera e corso Trapani, mio padre più d’una volta mi raccontò un episodio de…lla sua giovinezza. Di quando quindicenne, sarà stato il 1939 od il 1940, lavorava in una ditta dell’indotto dell’auto, un postaccio dove le condizioni di lavoro erano pessime e lo sfruttamento realtà quotidiana; i ragazzi della sua età ambivano ad imparare bene un lavoro con l’obbiettivo di cambiare, di impiegarsi in aziende più grandi dove le condizioni di lavoro erano migliori, alla Lancia, alla Diatto od alla Pininfarina. Al 107 di corso Trapani c’era all’epoca il moderno stabilimento Pininfarina, che fu poi bombardato durante la guerra, oltre un ettaro di officine ed uffici, più di 150 dipendenti impiegati. La città era allora “un mare di fredde ciminiere, un fiume di soldatini blu”. Mio padre viveva con suo padre, suo fratello e molti compaesani in via Cellini, lavoravano tutti attorno al Lingotto; i figli della prima grande immigrazione industriale, quelli che avevano lasciato la montagna e le campagne per la città, per la fabbrica. Il sabato mattina sul presto una corriera partiva da piazza Carducci, passava in Borgo San Paolo per raccogliere quanti lavoravano da quelle parti, quindi puntava a Nord, verso il Canavese con il suo carico di operai specializzati, battilastra sopraffini, garzoni e manovali, capolinea Alpette. Un sabato mattina la corriera arriva all’angolo tra corso Peschiera e corso Trapani e si ferma, – Si è spezzato il pedale della frizione. Non possiamo proseguire. Chiedo ci mandino un bus sostitutivo, ci vorrà del tempo. Sul pullman è appena salito un capofficina della Pininfarina, – Vado a vedere in ditta se c’è qualcuno, magari riusciamo a saldarlo. Torna dopo qualche minuto trainando il carrello delle bombole dell’ossiacetilene accompagnato da un uomo in giacca e cravatta con una cassetta d’attrezzi in mano. – Ma è monsù Farina, Pinin. – C’era solo lui, stava disegnando. Sul pullman ci sono almeno un paio di saldatori, si tolgono la giacca e si preparano per il lavoro. Pinin li ferma, “Lasciate stare, oggi voi siete a riposo. La faccio io la saldatura”. La corriera riprende il suo viaggio in meno di mezz’ora.

Ieri sera tornando a casa, attraversando un tratto d’aperta campagna noto nell’oscurità un triangolo rosso, un’auto ferma a bordo strada con le quattro frecce inserite. Mi fermo. Tre ragazze sui vent’anni, una più bella dell’altra. Il classico trio delle meraviglie: la bionda, la rossa e la mora. Due ragazzi poco più grandi, uno fuma, l’altro maneggia il telefonone. – Serve aiuto? – No grazie abbiamo già chiamato il carroattrezzi. Abbiamo bucato. – Non avete la ruota di scorta? – Abbiamo tutto ma non siamo capaci. Ci abbiamo provato io e lei – la mora e la rossa – ma non ci riusciamo. – E loro due? – Dicono di non esserne capaci, abbiamo telefonato al carro, dice che ci vorrà un po’ di tempo. Chissà quanto ci costerà? – Vi prenderà almeno cento euri. Se volete annullarlo vi cambio la ruota. Voi due, venite qui. – Perchè? – Vi insegno a cambiare una ruota, vorrete mica continuare a farvi figure del genere. – Che palle. – Vabbè fammi vedere ma li hai un paio di guanti? – Hai freddo alle mani? – No lascia stare. Cambio ruota effettuato in quindici minuti.

Quando un popolo passa da capitani d’industria che alle otto del mattino del sabato stanno al tavolo da disegno, capaci d’inventare oggetti desiderati in tutto il pianeta e di saldare ad ossigeno. Ai geni della finanza creativa. Quando si passa da operai in grado di realizzare qualunque cosa venga concepita, capaci d’affrontare e risolvere qualsiasi cimento tecnico creativo; a giovanotti aitanti dalle sopracciglia depilate, incapaci di cambiare una ruota ad una 500. E’ del tutto ovvio, scontato, che vengano gli indiani a comprarti.