Aveva raggiunto l’età in cui “les jeux sont faits”, quel che si è fatto, è fatto e “rien ne va plus” e lui, messo di fronte all’alternativa di dover ammettere il proprio fallimento o di darne la colpa gli altri, aveva scelto la seconda opzione. L’occasione per chiarire una volta per tutte come dal suo punto di vista stavano davvero le cose, si presentò al momento del rinnovo della carta d’identità: alla voce “professione” l’ultracinquantenne si dichiarò “vittima permanente del potere dello Stato” e non volle sentire ragioni quando l’addetto all’anagrafe gli fece notare che tale qualifica professionale non era contemplata. La discussione si era protratta a lungo e il povero impiegato aveva dato fondo a tutta la sua capacità di sopportazione e alle sue arti diplomatiche per convincerlo ad accettare una più modesta qualifica di “invalido” insieme però alla promessa –questa sì solenne, ma non si sa quanto vera- che l’avrebbe aiutato a conseguire un qualche sussidio statale. La cosa però non era finita lì: giorni dopo, tornando in Comune per delle pratiche, l’impiegata che gli aveva chiesto di esibire il documento di identità, si era molto stupita di trovare dopo la parola “invalido” scritto a matita e in stampatello: “per colpa dello Stato!”.
– don Davide –