citazione
Segni di speranza dalle trincee della lotta al virus – di don Davide Rota
In un momento drammatico come questo, nel rispetto del dolore, dell’impegno e della complessità che lo caratterizza, vorremmo con molta umiltà e senza alzare la voce offrire un piccolo spunto di speranza. Avete notato come stia cambiando il modo di porsi di professori, medici, ricercatori, responsabili nell’ambito della sanità? La sicurezza di chi prima parlava ex cathedra come se sapesse tutto, non avesse dubbi su nulla e non ammettesse che la si pensasse altrimenti, ha lasciato il posto a un linguaggio dove i verbi non sono più all’indicativo o all’imperativo, ma al congiuntivo e al condizionale. Dove le affermazioni perentorie sono scomparse in un mare di “chissà…, speriamo …. , se …, ma …, forse ….”. La certezza lascia il posto alla speranza e le richieste non hanno più il tono della pretesa, ma della supplica. Questo virus inafferrabile, mutante, nato, non per far male, ma per uccidere, ha introdotto nell’atteggiamento e nel linguaggio scientifico, qualcosa che prima non si coglieva: l’umiltà, il dubbio, la prudenza e la paura che questa guerra terribile, la si potrebbe anche perdere. “Andrà tutto bene” scrivono i bambini sotto l’arcobaleno: loro hanno ragione perché il virus li risparmia e perché la loro vita è tutta al futuro. Ma gli scienziati, i ricercatori, i medici con tutto il loro esercito di paramedici, infermieri, assistenti, le Asa e gli Os, la Croce rossa, la protezione civile, i volontari, i farmacisti, ecc…, devono combattere per salvare quelli la cui vita è in gran parte al passato e sui quali il virus si accanisce senza pietà uccidendone migliaia. Ed ecco che questa umiltà, prudenza, dubbio, paura di perdere la guerra, ha provocato un altro effetto inatteso: i professori sono scesi dalla cattedra e sono andati in trincea a combattere fianco a fianco con i soldati semplici. Si sono messi in gioco rischiando la salute e la pelle e loro, che appartengono a uno dei migliori sistemi sanitari del mondo, hanno chiesto aiuto a tutti: cinesi, russi, cubani compresi. Questo nuovo atteggiamento ci dice che forse questa spaventosa guerra la vinceremo. Anche perché quando l’infermiera o il dottore non sono più solo i professionisti e gli esperti, ma diventano anche gli amici e i compagni di lotta, succedono miracoli. Due piccoli esempi. Alla nonna che si sta spegnendo isolata dai suoi cari, la giovane dottoressa accende lo smartphone per regalare a chi se ne va l’ultimo saluto e sorriso di chi rimane. O l’infermiere che, a quelli che invocano Dio o la Madonna o i loro morti perché sentono che la vita gli sta scappando via, sussurra una preghiera, da’ una benedizione e azzarda (non c’è nulla di inventato) un’assoluzione … Neanche il Papa potrebbe fare meglio di loro.
il santo del giorno – San Giuseppe Sebastiano Pelczar
Giuseppe Sebastiano Pelczar fu allo stesso tempo uomo di alta cultura e vescovo attento ai bisogni del popolo polacco. Era nato nel 1842 in un paesino ai piedi dei Carpazi, Korczyna. Fu ordinato sacerdote a Przemysl, diocesi di cui sarebbe divenuto vescovo nel 1900. Studiò a Roma tra 1866 e 1868 e, tornato in patria, fu professore per 22 anni al seminario di Przemysl, docente universitario a Cracovia e rettore. Si impegnò nella Società di san Vincenzo de’Paoli e nella Società dell’educazione popolare, che diffondeva decine di migliaia libri tra le persone e istituiva biblioteche a centinaia. Nel 1891 fondò la Confraternita della Santissima Vergine Regina della Polonia. Infine, nel 1894 diede vita alla congregazione delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù. Nominato vescovo, nonostante la salute malferma, si prodigò nelle opere sociali, sulla spinta del magistero di Leone XIII: asili, mense e ricoveri per poveri e senza tetto, avviamento professionale delle ragazze, insegnamento gratuito per i ragazzi meno abbienti. Morì nel 1924.A Przemyśl in Polonia, san Giuseppe Sebastiano Pelczar, vescovo, fondatore della Congregazione delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù e insigne maestro di vita spirituale.
la foto del giorno
Bergamo, ospedale da campo degli alpini