Un ometto di mezz’età, italiano che si tira dietro un trolley mi fa: “Vorrei parlare col don”. “Sono io”. Lui va diretto al punto: “Sto cercando un bilocale perché non ho casa”.
Indicando il cantiere che occupa gran parte del cortile gli faccio: “Stiamo ristrutturando questi edifici e finché i lavori non saranno finiti non accogliamo nessuno”. “Non ha capito –insiste- io non ho chiesto che lavori sta facendo, ma un bilocale”.
Tengo i nervi saldi: “Vede quei container nel campo sportivo? –gli dico- Lì dentro sono provvisoriamente alloggiate le 160 persone che abitavano nei due blocchi in rifacimento”. Lui scandalizzato reagisce: “Le ho chiesto un bilocale e lei mi offre un posto in un container?”.
Lo invito a fare un giro tra le casette/container affinché capisca dove è arrivato, ma non funziona: “Qui sono tutti neri: mi sta prendendo in giro?” reagisce alzando la voce.
Mantengo un autocontrollo che stupisce anche me e dico: “Noi non le chiediamo né le offriamo niente: vorremmo solo che lei capisse che per qualche mese qui sarà impossibile accogliere né lei né altri”. “Sì, però ai neri avete trovato un posto e a noi italiani?” ribatte.
“Abbiamo accolto i neri perché sono gli unici ad accettare di vivere in container e ad aver capito che col cantiere in atto, sono l’unica alternativa alla strada”. Azzarda un’ultima proposta: “Mi accontento anche di un monolocale purché gratis”. Taglio corto: “Mi scusi, ma devo proprio andare”. E se ne va anche lui a testa bassa trascinando il trolley.