E’ trascorso poco più di un mese dal rientro dall’esperienza in Bolivia con il Patronato San Vincenzo ed è la prima volta che dopo un viaggio sento la voglia di fermarmi e scrivere.
Ho sempre vissuto viaggi da turista e al mio rientro mostravo fotografie di ciò che avevo fatto raccontando di luoghi visti, di cibi assaggiati …
Quest’anno al mio ritorno non ho raccontato un “fare”, ma uno “stare” fatto d’incontri, di persone, di colori, di musica e odori, di distanze, di povertà, di semplicità e complessità, di scelte e di vita.
Per raccontarlo vorrei partire da alcune immagini che mi hanno emozionata, sono fotografie che per me rappresentano “scatti” interiori di quest’esperienza.
Prima di partire io e gli altri compagni ci siamo incontrati ed abbiamo ascoltato i racconti di alcuni missionari che avevano vissuto per anni in Bolivia ed abbiamo avuto un programma dei giorni che avremmo trascorso insieme.
Nonostante fossimo stati preparati in più occasioni mi sono sentita spiazzata: la giornata sembrava scandita da tempi diversi, le priorità si sono ridimensionate.
Altre volte sono stata in un mercato popolare, ma la cancha ti lascia a bocca aperta per il suo caos tutto organizzato; altre volte ho visto dei gabbiani volare, ma su quella barca ho scelto di scattare una foto fermando lo sguardo di una cholita che con me aveva gli occhi rivolti all’orizzonte.
Le distanze che abbiamo percorso sono difficili da quantificare, i km fatti come viaggiatori per molte famiglie sono distanze quotidiane, molte volte percorse con i trufy ma ancor più spesso a piedi con l’aguayo sulle spalle con all’interno i propri prodotti da vendere o il proprio figlio avvolto in una coperta.
Ricordo che ad Anzaldo, abbiamo conosciuto un padre che insieme al figlio ha camminato due giorni dormendo in strada per potersi recare all’Ospedale del dott. Gamba ed avere così le cure necessarie per il figlio a cui mesi prima era stato ingessato il braccio.
Quando incontri queste storie di vita ti fermi e rifletti e pensi che tu, in altre occasioni molto più confortevoli e
comode di quella, ti sei fermato a volte giustificandoti.
E lì, nell’immagine di quella famiglia, che inizi a capire il senso di quella frase che mesi prima avevi visto stampata sulle magliette della Ciudad de los Ninos: “El optimista tiene siempre un proyecto, el pesimista una exscusa”e ti dici che vuoi iniziare a farla diventare anche un po’ tua.
Penso ai giorni trascorsi alla Ciudad de los Ninos e al grande progetto di Don Bepo prima, di Padre Berta poi e dei Padri legati al Patronato San Vincenzo oggi.
Penso alla tenacia che ho incontrato nei missionari che ci hanno ospitato e che da diversi anni sono in Bolivia, alla loro umiltà nel raccontare le fatiche di un paese con gli occhi ancora pieni d’entusiasmo.
Penso soprattutto ai bambini e ai ragazzi incontrati, agli hola scambiati passeggiando nelle stradine della Ciudad, alle messe domenicali e ai giochi condivisi con loro, ma soprattutto penso alle loro sofferenze che celano con molta riservatezza dietro a sorrisi che ti toccano e ti aprono il cuore.
Sono sorrisi che ti fanno riflettere e che ti spingono a guardare le cose da altre prospettive, insolite, proprio come stanno facendo in questa foto Kendra e Brandon “a testa in giù”.
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