Non è facile riuscire a scrivere in un articolo quello che ho provato, visto, ascoltato e anche mangiato in questo mese passato in Bolivia. Molte volte capitava di vedere un paesaggio, di vivere una situazione, un momento e nella testa ripetermi come avrei potuto raccontarlo, quali parole avrei potuto usare, non le trovavo e scattavo una foto.

Non mi sono mai spinto a così tanti km lontano da casa, da solo. Anche l’emozione prima di partire è stata un’esperienza, come l’arrivo in Sud America che nei miei sogni è sempre stato così lontano.

Prima di partire per una destinazione mi piace studiare, leggere qualcosa sul posto in cui andrò per calarmi nella realtà. Leggere di Potosi, delle sue miniere, dei bambini lavoratori è una cosa, trovarsi dentro quelle miniere è un’altra.

Ricordo il momento di condivisione al centro NAT’s di Potosi ( Ninos y Adolescentes Trabajodores) con questa ragazzina di soli 12 anni ma con una responsabilità invidiabile. Sorella maggiore di quattro fratelli, alla quale mi è capitato di fare una domanda pur sapendo già la risposta ma con la speranza che non fosse quella, alla domanda: “Anche i tuoi fratelli più piccoli lavorano?” La risposta immagino che la sappiate già. La risposta mi ha emozionato come tutta la sua storia fatta di alternanza giornaliera tra scuola, lavoro, compiti e aiuto in famiglia.

Ogni giorno è stato un giorno vissuto, mai un secondo sprecato. Potrei fare un elenco di quello che è successo nella Ciudad, dal lavoro pomeridiano nell’orto con Don Gregorio a prendere le misure per i solchi per poi piantare la cipolla e irrigare. La soddisfazione di vedere tutte le mattine i risultati del tuo lavoro e apprezzarlo.

Sistemare il giardino di Casa Gelmi, trovandosi a togliere e spostare cumuli di pietre e livellare un cumulo di ghiaia.

Ritagliare le foto con i due fratelli Juan e Pedro che con le loro mani me le hanno sporcate tutte, per la gioia di Padre Gianluca. E vedere l’ultimo giorno i tuoi quadretti appesi al muro con le composizioni di foto è stato emozionante, so di aver lasciato qualcosa di mio.

Allenare al parco Rodolfo, facendo il mio lavoro da personal trainer in Bolivia. Giocare a calcio con i bambini del Chapare giocandosi i piatti da lavare la sera.

Ogni giorno sommato ha costruito questa mia esperienza indimenticabile in Bolivia. Sono partito con la convinzione di essere da solo ma per mia grande fortuna ho condiviso questa esperienza con un gruppo di Bergamaschi con cui ho avuto la possibilità di conoscere altre realtà, altre persone come l’Ospedale Chirurgico di Ansaldo di Pietro Gamba, persona invidiabile per la sua motivazione e determinazione, la grinta di Suor Giusy, anche per come guida il suo pick-up da non so quanti posti.

Suor Ilda e Suor Donatella che hanno cucinato per noi, viziandoci anche con la crema al caffè.

Un ringraziamento speciale va a Padre Gianluca per l’esempio di persona, per come si emoziona a raccontare quello che ha fatto e che sta facendo, per come educa i bambini e manda avanti la Ciudad, anche se è stato un po’ difficile averlo puntuale a pranzo e a cena.

In un mese è difficile lasciare qualcosa a questi bambini, sanno che sei di passaggio e che arriverà qualcun altro, ma è loro che lasciano tanto a te. Camminare per la Ciudad dopo solo due giorni e sentire urlare: “Hola Adriano!”, cercando di capire da dove arriva e chi è, una corsa verso di te con un abbraccio finale, una risata, un affetto incondizionato, i bambini che fanno a gara per darti il segno di pace. La gioia di vivere nonostante tutte le difficoltà. Tornerò!

 

Adriano Niglia