2 anni fa il Papa in un discorso alla Curia segnalava ….

    2 anni fa il Papa in un discorso alla Curia segnalava quelle che –sulla traccia dei Padri del deserto- secondo lui erano le 15 malattie non solo della Curia Romana, ma della chiesa cattolica in generale: all’avvicinarsi della Quaresima vale la pena di presentarle e di meditarci sopra un po’.

     

    1. Il sentirsi «immortale», «indispensabile». «Una Chiesa che non fa autocritica, non si aggiorna, non cerca di migliorarsi è un corpo infermo». Una visita ai cimiteri potrebbe aiutare, vedendo i nomi di tanti che «forse pensavano di essere immortali e indispensabili!». È la malattia di chi «si trasforma in padrone e si sente superiore a tutti e non al servizio di tutti e deriva spesso dalla patologia del potere, dal “complesso degli Eletti”, dal narcisismo».
    2. L’eccessiva operosità. Quella di quanti, come Marta nel racconto evangelico, «si immergono nel lavoro, trascurando, inevitabilmente, “la parte migliore”: il sedersi sotto i piedi di Gesù». Il Papa ricorda che Gesù «ha chiamato i suoi discepoli a “riposarsi un po’” perché trascurare il necessario riposo porta allo stress e all’agitazione».
    3. «L’impietrimento» mentale e spirituale. È di quelli che «perdono la serenità interiore, la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando “macchine di pratiche” e non uomini di Dio», incapaci di «piangere con coloro che piangono e gioire con coloro che gioiscono!».
    4. L’eccessiva pianificazione. «Quando si pianifica tutto minuziosamente» e si crede così che «le cose effettivamente progrediscano, diventando però un contabile. Preparare tutto bene è necessario ma senza cadere nella tentazione di voler rinchiudere e pilotare la libertà dello Spirito Santo… È facile che ci si adagi nelle proprie posizioni statiche e immutate».
    5. Il mal coordinamento. È tipica di chi «perde la comunione con gli altri e fa smarrire al corpo la sua armoniosa funzionalità» diventando «un’orchestra che non produce armonia, ma chiasso perché le varie membra non collaborano e non vivono lo spirito di squadra».
    6. L’Alzheimer spirituale «del declino progressivo delle proprie facoltà spirituali» che «causa gravi handicap alla persona» facendola vivere in «uno stato di dipendenza dalle sue vedute immaginarie». E’ tipica di chi ha «perso la memoria» dell’incontro col Signore e dipende dalle sue «passioni, capricci e manie», in chi costruisce «intorno a sé muri e abitudini».
    7. La rivalità e vanagloria. «Quando l’apparenza, i colori delle vesti, le onorificenze diventano l’obiettivo primario della vita… È la malattia che ci porta a essere uomini e donne falsi e a vivere un falso “misticismo” e un falso “quietismo”».
    8. La schizofrenia esistenziale. È tipica di coloro che vivono «una doppia vita, frutto dell’ipocrisia del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che i titoli accademici non possono colmare». Colpisce chi «abbandonando il servizio pastorale, si limita alle faccende burocratiche, perdendo così il contatto con la realtà, con la gente e creando un mondo parallelo, ove si insegna con severità agli altri», ma si conduce una vita «nascosta» e spesso «dissoluta».
    9. Le chiacchiere e i pettegolezzi «Si impadronisce della persona facendola diventare “seminatrice di zizzania” (come satana), e in tanti casi “omicida a sangue freddo” della fama dei propri colleghi e confratelli. È la malattia delle persone vigliacche che non avendo il coraggio di parlare direttamente parlano dietro le spalle… Guardiamoci dal terrorismo delle chiacchiere!».
    10. Divinizzare i capi È quella di coloro che «corteggiano i superiori», vittime «di carrierismo e opportunismo» e «vivono il servizio pensando solo a ciò che devono ottenere e non a quello che devono dare». Sono «persone meschine», ispirate solo «da fatale egoismo». Potrebbe colpire anche i superiori «quando corteggiano i loro collaboratori per ottenere sottomissione, lealtà e dipendenza psicologica, con il risultato finale di una vera complicità».
    11. L’indifferenza verso gli altri «Quando ognuno pensa solo a se stesso e perde la sincerità e il calore dei rapporti umani. Quando il più esperto non mette la sua conoscenza al servizio dei colleghi meno esperti. Quando, per gelosia o per scaltrezza, si prova gioia nel vedere l’altro cadere invece di rialzarlo e incoraggiarlo». (Segue)
    12. La faccia funerea. È quella delle persone «burbere e arcigne, le quali ritengono che per essere seri occorra dipingere il volto di malinconia, severità e trattare gli altri – soprattutto quelli ritenuti inferiori – con rigidità, durezza e arroganza». In realtà, aggiunge il Papa, «la severità teatrale e il pessimismo sterile sono sintomi di paura e insicurezza. Il cristiano si sforzi di essere cortese, sereno, entusiasta e di trasmettere gioia…» oltre che pieni autoironico: «Quanto bene ci fa una dose di sano umorismo».
    13. L’accumulare «Quando il cristiano cerca di colmare un vuoto esistenziale nel suo cuore accumulando beni materiali, non per necessità, ma solo per sentirsi al sicuro».
    14. I circoli chiusi Quando «l’appartenenza al gruppetto diventa più forte di quella al Corpo e, in alcune situazioni, a Cristo stesso. Anche questa malattia inizia sempre da buone intenzioni ma con il passare del tempo schiavizza i membri diventando “un cancro”».
    15. Il profitto mondano, l’esibizionismo «Quando si trasforma il servizio in potere, e il potere in mezzo per ottenere profitti mondani o più poteri. È la malattia di chi cerca insaziabilmente di moltiplicare i poteri e a tale scopo è capace di calunniare, diffamare e screditare gli altri, anche sui giornali e riviste. Naturalmente per esibirsi e dimostrarsi più capace degli altri». Una malattia che «fa molto male al corpo perché porta le persone a giustificare l’uso di qualsiasi mezzo pur di raggiungere tale scopo, spesso in nome della giustizia e della trasparenza!».

     

    Francesco ha concluso ricordando di aver letto una volta che «i sacerdoti sono come gli aerei, fanno notizia solo quando cadono, ma ce ne sono tanti che volano. Molti criticano e pochi pregano per loro». Una frase «molto vera perché delinea l’importanza e la delicatezza del nostro servizio sacerdotale e quanto male potrebbe causare un solo sacerdote che “cade” a tutto il corpo della Chiesa».

     

     

     

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