26a Settimana del tempo ordinario
Aforisma del giorno – Gandhi
Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci.
Preghiera del giorno
Signore Gesù, che hai chiamato chi ha voluto, chiama anche noi a lavorare per te e con te. Tu, che hai illuminato con la tua parola quelli che hai chiamati e li hai sostenuti nelle difficoltà, illuminaci con il dono della fede in te.
E se chiami qualcuno di noi, per consacrarlo tutto a te, il tuo amore riscaldi questa vocazione fin dal tuo nascere e la faccia crescere e perseverare sino alla fine. Amen.
Santo del giorno
S. Venceslao. Vissuto nel X secolo, principe di Boemia, fu educato cristiana mente dalla nonna S. Ludmilla. Giovanissimo, successe al padre dopo un periodo di emergenza della madre che gli preferiva il secondogenito Boleslao.
Ella fomentò a tal punto la rivalità fra i due fratelli che Boleslao assalì Venceslao mentre si recava da solo, come era solito fare, in chiesa per la preghiera del mattino. Difesosi dalla spada di Boleslao, a cui il risparmio alla vita, venne ucciso dai suoi seguaci.
Venceslao visse nel periodo in cui, in Boemia, il Cristianesimo era agli albori e l’attività apostolica e missionaria erano difficili e pericolose.
Egli, profondamente religioso, contribuì alla diffusione del messaggio evangelico, promuovendo religiosamente e culturalmente il proprio popolo e, per la sua bontà e per la sua rettitudine, divenne il santo più popolare della Boemia.
Parola di dio del giorno Lc 9,51-56
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso.
Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.
Riflessione del giorno – detti e fatti dei padri del deserto
Uno dei confratelli chiese a un anziano monaco del deserto: Sarebbe giusto se io tenessi due monete per me, nel caso mi ammalassi? L’anziano, leggendo nei suoi pensieri che egli voleva tenerle, disse: Tienile.
Ma il fratello, ritornando alla sua cella, cominciò a lottare con i suoi pensieri, dicendo: Mi chiedo se il padre mi ha dato la sua benedizione oppure no.
Alzandosi, tornò dal padre e gli rivolse queste parole: In nome di Dio, dimmi la verità, perché sono tutto ansioso per queste due monete. L’anziano gli disse: Dal momento che ho visto i tuoi pensieri e il tuo desiderio di tenere quelle monete, ti ho detto di tenerle.
Ma non è bene tenere più di quello che ci serve per il corpo. Ora queste due monete sono la tua speranza. Ma se le perdessi, Dio non si prenderebbe forse cura di te? Lascia ogni preoccupazione a Dio, allora, perché egli si prenderà cura di te.
Intenzione di preghiera per il giorno
Perché non ci preoccupiamo più del dovuto e impariamo a confidare nella Provvidenza di Dio.
Don’t Forget! 1000 quadri più belli del mondo
THÉODORE GÉRICAULT : LA ZATTERA DELLA MEDUSA
1818 – Olio su tela – 491 x 716 cm – Museo del Louvre – Parigi
Il pittore francese Géricault (1791-1824) fece le prime esperienze pittoriche in ambito neoclassico francese influenzato da David e Ingres. Dopo un soggiorno a Roma, dove studiò Michelangelo e Raffaello, fece ritorno a Parigi, nel 1817, dove realizzò il suo quadro più famoso: La zattera della Medusa, che ricevette aspre critiche.
Di carattere introverso, Gericault rappresenta il prototipo dell’artista romantico: amorale e asociale, disperato e maledetto, che alimenta il suo genio di eccessi e trasgressioni. La sua vita si concluse nel 1824, a soli 32 anni. Completato quando aveva soltanto 29 anni, il dipinto rappresenta un momento degli avvenimenti successivi al naufragio della fregata francese Méduse, avvenuto il 2 luglio 1816 davanti alle coste dell’attuale Mauritania, a causa di negligenze e decisioni affrettate da parte del comandante Hugues Duroy de Chaumareys che portò la fregata ad incagliarsi sul fondale sabbioso.
250 persone si salvarono grazie alle scialuppe, le rimanenti 150, la ciurma, dovettero essere imbarcate su una zattera di fortuna, lunga 20 metri e larga 7 e di queste solo 15 fecero ritorno a casa. Géricault fu scrupoloso nel raccogliere informazioni e nel progettare il dipinto. Intervistò due sopravvissuti, fece un modellino della zattera e realizzò molti bozzetti preparatori. Nel quadro i poveri naufraghi sono circondati da corpi in decomposizione e vestono abiti laceri e sudici.
I corpi nudi, scomposti e lividi dei cadaveri suscitarono orrore e riprovazione…proprio in questo il quadro è il punto di rottura con la pittura neoclassica che si rivolgeva allo spettatore presentando composizioni equilibrate, atmosfere cromatiche serene e soggetti elevati. Il dipinto di Géricault invece provoca una intensa reazione emotiva, oltre a mostrare un grande senso della realtà e a rappresentare i corpi con una solida conoscenza dell’anatomia umana.
I toni sono scuri e drammatici; i colori tendono al grigio, i corpi lividi e solo all’orizzonte brilla il rosso di un tramonto, come è rosso il mantello che copre il padre che abbraccia il cadavere del figlio. Nel dipinto i toni cupi e i forti contrasti indicano che i naufraghi si trovano nel mezzo di una tempesta marina. La struttura della scena è molto complessa e lo sguardo dello spettatore, dal primo piano è inevitabilmente attratto verso il gruppo di naufraghi che, all’ombra della vela, indicano la nave Argo all’orizzonte; i più attivi, fra i quali un marinaio di colore, agitano le camicie per attirare l’attenzione dei soccorritori.
Se la nave Argo è quasi un miraggio, la zattera è vicinissima allo spettatore, al punto che il lato inferiore della tela taglia uno degli angoli del relitto e la parte superiore di un cadavere. Si tratta di una straordinaria, anche se inconsapevole anticipazione del “taglio fotografico” che tanta fortuna conoscerà nella pittura impressionista. In questo modo l’artista riduceva il più possibile la distanza psicologica tra osservatore e dipinto e trasformava la visione da parte del pubblico in partecipazione sofferta.
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