venerdì 22 maggio ’20

     

     

    nell’immagine un dipinto di  Gudiol Montserrat

     

     

    VIA Settimana del Tempo Pasquale

     

    Proverbio del Giorno (africa)

    E’ più facile deviare il corso di un fiume che cambiare il comportamento di un cattivo soggetto.

     

     

    Iniziamo la Giornata Pregando

    Glorioso e potente Signore, che alterni i ritmi del tempo, irradi di luce il mattino e accendi di fuochi il meriggio, tu placa le tristi contese, estingui la fiamma dell’ira, infondi vigore alle membra, ai cuori concedi la pace. Sia gloria al Padre ed al Figlio, sia onore al Santo Spirito, all’unico e trino Signore sia lode nei secoli eterni. Amen.

     

    RITA DA CASCIA

    Data in sposa a un uomo brutale e violento che, convertitosi, venne in seguito ucciso per vendetta. I figli giurarono di vendicarlo e Rita, non riuscendo a dissuaderli, pregò Dio di farli piuttosto morire. Quando ciò si verificò, Rita si ritirò in monastero. Qui condusse santa vita con particolare spiritualità in cui veniva privilegiata la Passione di Cristo. La sua esistenza di moglie di madre cristiana, segnata dal dolore e dalle miserie umane, è ancora oggi un esempio.

     

    Ascoltiamo la Parola di Dio (Giovanni 16,16-20)

    Disse Gesù ai suoi discepoli: «In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla».

     

    Riflessione per Il Giorno (Frammenti di vita)

    Al Patronato vivono più di 300 persone, settanta italiani e 240 stranieri che, come tutti in questi mesi, sono stati obbligati all’isolamento. Oltre a dar prova di una responsabilità e di un rispetto delle regole sorprendenti, nessuno di loro è stato contagiato dal covid e non si ricorda ci sia mai stato un digiuno di ramadan così sereno e ordinato come quest’anno. Si sono date tante spiegazioni, ma nessuna convincente, così si è chiesto loro perché mai non si siano ammalati e riescano a sopportare meglio di noi le limitazioni di questo periodo. Ebbene, anche le risposte più stravaganti convergevano su un punto: ai diseredati il coronavirus non fa paura perché “se si è perso tutto, casa, lavoro, permesso di soggiorno…perdere la vita per il virus o per fame, non fa molta differenza” ha risposto uno. “No! –lo corregge un altro- Non abbiamo paura perché, avendo visto la morte in faccia più volte, possiamo sperare di scamparla anche stavolta”.  Comunque sia il loro messaggio è chiaro: la paura può essere più pericolosa del virus. E lo conferma un antico racconto: “Un viandante incontrò la peste in viaggio verso Smirne. “Che vai a fare laggiù?” le chiese. “Vado a uccidere diecimila persone” rispose la peste. Tempo dopo, si incontrarono di nuovo. “Ma ne hai uccise centomila!” protestò il viandante. “Non è vero –rispose la peste- io ne ho uccise solo diecimila. Le altre le ha uccise la paura”.

     

    Intenzione del giorno

    Preghiamo per la Ciudad del Niño di Cochabamba e per tutti i suoi piccoli ospiti

     

    Don’t forget!

    22/05/2007: muore don Antonio Berta

    fondatore della Ciudad del Niño in Bolivia. «La speranza è l’unica arma con la quale si può andare avanti» diceva. E lui, con quella barba infinita che lo vestiva da capo a piedi di una calda paternità, missionario dal ’66, a Cochabamba con la speranza ha costruito un mondo per i ragazzi boliviani. Per i più poveri, i più soli. E lo ha fatto crescere con generosità e straordinaria energia, fino all’ ultimo…Oggi la sua opera è continuata da don Gianluca Mascheroni che ricordiamo nella preghiera assieme al fondatore e che oggi inaugura l’ultima delle case ristrutturate per adeguarle al nuovo stile di accoglienza

     

    Santi e Beati della Carità

    S. IVO

    HÉLORY de KERMARTIN

    (1253–1303)

    Dalla sua morte, avvenuta il 19 maggio 1303, non vi fu in Bretagna un santo più popolare di lui, ebbe un culto straordinario, diffuso specialmente dai marinai brettoni, in tutti i luoghi ove sbarcavano, perfino in Canada; S. Yves dei brettoni era il loro santo nazionale. Nacque nel castello di Le Minihy presso Tréguier il 17 ottobre 1235; Yves Hélory de Kermartin era figlio di un modesto gentiluomo, fu allevato piamente da sua madre, fino ai 14 anni, quando partì per Parigi insieme al suo precettore Giovanni di Kerhoz, che in seguito diverrà suo discepolo. Studiò teologia per dieci anni alla scuola di S. Bonaventura, poi si spostò ad Orleans per studiare diritto, si affermò come studente serio, dolce, caritatevole, incline alla pietà e alla purezza.

    A 27 anni passò al servizio dell’arcidiacono di Rennes, come ufficiale di giustizia ecclesiastica, ma dopo un po’ il suo vescovo lo chiamò presso di sé per la stessa carica, consacrandolo sacerdote malgrado Yves si sentisse indegno. Nel tribunale divenne il rifugio, l’avvocato di tutte le cause dei poveri ed infelici, istituendo per primo il patrocinio gratuito; il suo castello divenne ospizio per i mendicanti e i poveri della regione. Il grande fervore di santità che lo animava, lo spinse a predicare sempre più spesso (si racconta che un venerdì santo predicò esaurito, fino a sette volte); lasciò la sua bella veste di ufficiale giudiziario e indossò il camice di stoppa e la tunica dei contadini, diede ai poveri la sua unica sottana, dormì sulla paglia e sulla nuda terra. Ebbe anche l’incarico dal suo vescovo di curare la parrocchia di Tredez e nel 1292 quella di Louannec, che sollevò dalle misere condizioni spirituali in cui si trovavano; non tralasciò la predicazione nelle altre parrocchie, dove si recava a piedi portando con sé solo Bibbia e Breviario. Nel 1298 si ritirò nel suo castello di Kermartin, dove nel più grande squallore, morì il 19 maggio 1303. La sua fama di santità era così grande, che la folla si spartì i pezzi delle sue misere vesti, per farne delle reliquie e già da quel giorno il popolo, il clero, le autorità, i duchi Giovanni III e Carlo di Montfort, il re di Francia Filippo di Valois, reclamavano la sua canonizzazione. 

    La procedura fu rapida a testimonianza dell’ammirazione di tutti per la sua vita e venne dichiarato Santo il 19 maggio 1347 da papa Clemente VI.  E’ patrono degli avvocati, dei notai e dei giudici; della città e della diocesi di Tréguier oggi di Saint-Brieuc e della Bretagna; il 19 maggio giorno della sua festa, si svolge la lunga processione del “grande perdono di S. Yves (Ivo)” che accompagna la reliquia del ‘capo’ del santo dalla cattedrale di Tréguier a Le Minihy, con la partecipazione di cardinali, vescovi, magistrati e avvocati e con una gran folla di fedeli che canta inni in brettone al loro santo patrono. Il santo è raffigurato in molte opere d’arte, ma più che vestito da prete, lo è con la toga di avvocato in atteggiamento di difesa di poveri e vedove imploranti, contro ricchi padroni.

     

     

     

     

     

     

     

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