Alla fine della Messa la mamma col riluttante figlio al seguito mi si era avvicinata dicendo: “Questo giovanotto deve affrontare la maturità, ma temo che senza una robusta benedizione non ce la farà a essere promosso”.
Lui aveva l’aria di uno che, pur rassegnato alla proposta materna, metteva in chiaro di non credere né a preti, né a benedizioni… motivo in più per abbondare con preghiere, segni di croce e raccomandazione finale: “La benedizione è potente, ma capisci che non funziona a dovere se non si è studiato almeno un po’!”.
Come risvegliandosi dal suo intorpidimento, il giovane borbotta: “Non temo gli esami, perché se non si sa una cosa, bisogna ostentare sicurezza e confondere il professore a forza di parole”. “Effettivamente mio figlio possiede buona dialettica” interviene in modo improprio a sua difesa la mamma.
In quel momento mi viene in mente che lo stesso metodo lo applicava un mio compagno ai tempi del liceo. Lui però usava un’altra parola: “stordire il professore” parlando a raffica, senza lasciargli la possibilità di intervenire.
La prima volta se l’era cavata con una sufficienza risicata. Ma il gioco non poteva durare e difatti cominciarono a fioccare i quattro. Finché alla fine il nostro si sorprese di sentirsi dire dal professore: “Tu sei proprio uno stordito!”.
– don Davide –
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