23.a Settimana Tempo Ordinario
Proverbio del giorno
Homo faber suae quisque fortunae.
L’uomo è artefice del suo destino.
Preghiera del giorno
O Trinità infinita, cantiamo la Tua gloria, perché nel Cristo Tu ci hai resi figli e i nostri cuori sono Tua dimora.
Eterno, senza tempo, sorgente della vita che non muore, a Te la creazione fa ritorno nell’incessante flusso dell’amore.
Noi Ti cantiamo, o Immenso, in questo breve sabato del tempo, che annuncia il grande giorno senza sera, in cui vedremo Te, vivente luce.
A Te la nostra lode, o Trinità dolcissima e beata, che sempre sgorghi e sempre rifluisci nel quieto mare del Tuo stesso amore. Amen.
Santo del giorno
Sant’Egidio Abate. Nato da nobile famiglia in Atene, di ingegno profondo, colto, amante della pietà, si attirò la benevolenza del popolo e gli onori del mondo.
Ma egli fuggì da Atene, e si recò in Francia, in un luogo deserto presso la foce del Rodano. Tempo dopo stabilì la sua dimora in una foresta, dove visse in preghiera, nutrendosi di erbe, radici, frutti selvatici e dormendo su nuda terra con un sasso per guanciale.
Scoperto durante una partita di caccia da Flavio re dei Goti, entrò nelle grazie del sovrano, e per i molti miracoli operati fu conosciuto sotto il nome di «santo taumaturgo».
Spinto dal popolo e pregato dal re che si recasse a corte, non cedette e ottenne che il re gli donasse la selva.
Acconsenti il re e vi fabbricò un monastero che accolse molti giovani che si accostarono alle regole di S. Benedetto.
Con loro dissodò campi, fertilizzò terreni incolti, aprì vie di commercio e predicò Gesù a quei popoli, convertendo i peccatori e inducendoli a penitenza.
Crescendo sempre più la sua fama, molti si stabilirono vicino al monastero così da formare una città che ora porta il suo nome.
S. Egidio morì verso la fine del VI secolo. Le sue reliquie di S. Egidio furono trasferite a Tolosa.
Parola di Dio del Giorno Luca 4,38-44
Gesù, uscito dalla sinagoga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei.
Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li serviva. Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui.
Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demoni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!».
Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo. Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via.
Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato». E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea.
Riflessione per il giorno (Mons. Galantino: Abitare le parole)
L’era social ha conferito all’APPARENZA un alto livello di spettacolarità, fino a essere considerata, l’unica realtà che conta e quella sulla quale vale la pena investire.
Pur semplificando un po’ le cose, si potrebbe dire che intorno all’apparenza si sono sviluppate due concezioni: l’apparenza come l’opposto della verità e l’apparenza come inizio di un qualsiasi processo conoscitivo.
Intorno al primo approccio, sostanzialmente negativo, si ritrova gran parte della filosofia antica e parte della tradizione romantica, ma anche la letteratura, in particolare in Shakespeare e in Pirandello.
Del primo ricordiamo il famoso soliloquio del malinconico Jacques: «Tutto il mondo è un palcoscenico, e tutti gli uomini e le donne solo degli attori.
Essi hanno le loro uscite e le loro entrate. Ognuno nella sua vita recita molte parti, e i suoi atti sono sette età» (Come vi piace).
L’affermazione posta da O. Wilde sulle labbra di Lord Henry Wotton restituisce all’apparenza la sua dignità: «Solo la gente mediocre non giudica dalle apparenze: il vero mistero del mondo è il visibile, non l’invisibile” (Il ritratto di Dorian Gray).
Un modo per dirci che le apparenze contano nello spazio pubblico e nella comunicazione. L’apparenza infatti è la prima cosa che sappiamo degli altri ed è la prima cosa che diciamo di noi agli altri… e questo è il secondo punto.
Il problema sorge quando di noi s’impadronisce quell’ansia patologica di sopravvivere nella memoria dei posteri o di eccellere a tutti i costi, che va oltre il legittimo bisogno di riconoscimento.
Allora ci si dimentica di chi siamo realmente, si perde il contatto con le aspirazioni intime della vita, che ci rendono unici e sono capaci di tenerci al riparo dalla vanità dei social.
Intenzione di preghiera per il giorno
Preghiamo perché i cristiani esercitino la virtù del discernimento, andando oltre le apparenze.
Don’t Forget! PERSECUZIONI ANTICRISTIANE NELL’IRAN SAFAVIDE XVI-XVIII sec.
SAFAVIDI: dinastia-confraternita mistica di lingua e cultura turca, governarono la Persia tra il 1501 e il 1736. All’inizio del XVI secolo l’Iran era diviso in un gran numero di emirati e khanati, i più importanti dei quali erano gli Stati timuride a est e Aq Qoyunlū a ovest.
Nel 1499 il quindicenne ISMĀʿĪL riuscì a ottenere l’appoggio delle tribù nomadi turche dell’Azerbaigian e a sconfiggere i re di Tabrīz e Ḥamadān nel 1501, dando inizio alla dinastia Safanide.
Alla sua morte aveva costituito un impero che inglobava oltre all’Iran attuale, anche vari stati attorno. La sua adesione all’Islam sciita lo pose però in conflitto con gli Ottomani e i cristiani, residenti nelle zone disputate dalle due potenze, finirono per farne le spese.
All’inizio del XVII sec lo scià Abbas 1° (1587-1629) decise di trasformare l’Armenia in terra di nessuno per proteggersi dagli Ottomani e dispose la deportazione forzata di 20.000 armeni alla capitale Isfahan: paradossalmente i deportati contribuirono alla fioritura artistica e diplomatica dei safavidi.
Anche la Georgia cristiana soffrì per queste guerre: nel 1603 i soldati di Abbas I° uccisero 600 monaci di una dozzina di monasteri della regione georgiana del Davido-Garegi.
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