XXX Settimana tempo ordinario
Aforisma del giorno di don Bepo Vavassori (sua mamma)
«Se vuoi diventare prete devi essere tanto bravo da poter diventare anche Papa e tanto umile da essere ancora in grado di pulire la stalla».
Preghiera del giorno Salmo 9 (1.a parte)
Loderò il Signore con tutto il cuore e annunzierò tutte le tue meraviglie. Gioisco in te ed esulto, canto inni al tuo nome, o Altissimo. Mentre i miei nemici retrocedono, davanti a te inciampano e periscono, perché hai sostenuto il mio diritto e la mia causa; siedi in trono giudice giusto.
Hai minacciato le nazioni, hai sterminato l’empio, il loro nome hai cancellato in eterno, per sempre. Per sempre sono abbattute le fortezze del nemico, è scomparso il ricordo delle città che hai distrutte. Amen.
Santo del giorno
S. Antonio Maria Claret
Antonio M. Claret nasce a Sallent, Catalogna (Spagna) il 23-12-1807 da famiglia profondamente cristiana di tessitori con dieci figli. Nel 1835 viene ordinato sacerdote e si reca a Roma, a Propaganda Fide, per essere inviato nelle missioni. Ma la salute precaria lo costringe a tornare in patria.
Così per sette anni si dedica alla predicazione delle missioni popolari in patria tra la Catalogna e le Isole Canarie. Ma sarà proprio tra questi giovani raggiunti dalla sua attività apostolica che nasce l’idea della congregazione che fonda nel 1849: sono i Figli dell’Immacolato Cuore di Maria noti come Clarettiani.
Nel 1849 è nominato arcivescovo di Santiago di Cuba dove il suo impegno apostolico e sociale e la strenua difesa dei diritti della Chiesa gli crea nemici tra i politici e i corrotti. Richiamato in patria, morirà in esilio in Francia il 24 ottobre 1870.
Parola di Dio del giorno Luca 13,10.17
Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta. Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia».
Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio. Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato».
Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?».
Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.
Riflessione del giorno da “il mattutino” di Mons. Ravasi
“Signore, sai che invecchio di giorno in giorno: difendimi dall’impulso di dover dire sempre la mia in ogni occasione. Liberami dall’immenso desiderio di voler mettere ordine negli affari degli altri. Insegnami a essere riflessiva e soccorrevole, ma non prevaricante. Insegnami la meravigliosa saggezza di ammettere che posso anche sbagliarmi. Fa’ che sia il più possibile amabile”.
Teresa de Cepeda y Ahumada (+ 1582) che sarebbe poi diventata la celebre S. Teresa di Gesù o d’Avila, dottore della Chiesa, aveva carattere forte, mente lucida, penna tagliente, come testimoniano le righe citate, molto realistiche e vivaci. Il lento scorrere degli anni invecchia corpo e intelligenza e in agguato c’è sempre il rischio della petulanza nei confronti degli altri o delle novità.
In italiano per definire questo vizio, c’è un termine molto vivace, il «ficcanaso». L’impiccione che è in tutti noi è sempre in agguato, pronto a giudicare e criticare, ad assegnare pagelle agli altri. Lo stesso gossip (che è ben diverso dal tradizionale e più bonario pettegolezzo) diventa ai nostri giorni sempre più aggressivo e mantiene in vita riviste e programmi televisivi indegni. Ecco, allora, il monito di Teresa all’amabilità, al rispetto, all’autocritica, al «non giudicare per non essere giudicati» e – perché no? – anche al saper invecchiare con grazia e affabilità.
Intenzione di preghiera per il giorno
Per i rappresentanti al parlamento e al governo eletti in questo 2022: Dio li illumini a fare tutto al meglio e per il bene comune.
Don’t Forget! Vite straordinarie
Barsanti Eugenio 1821-1864
Eugenio Barsanti nasce nel 1821 a Pietrasanta; entra nella congregazione degli Scolopi a 17 anni e a poco più di 20 anni già insegna fisica e matematica in un collegio a Volterra. È qui, che si appassiona alle ricerche di Volta e in particolare all’esperimento detto “della pistola” col quale, utilizzando una miscela gassosa detonante si produceva forza motrice.
Ma si trattava di pura teoria: eppure trasferitosi a Firenze, allo Ximeniano Barsanti trovò i mezzi per trasformare l’idea in un motore vero e proprio. L’occasione gli fu propiziata del l’incontro con l’ingegnere idraulico Matteucci. I due depositarono il loro primo brevetto nel 1854, ma il motore costruito a Firenze nelle Officine Bernini, nacque soltanto il 19-9-1860.
Era un motore da 20 cavalli: il quotidiano “La Nazione” ne dette notizia scrivendo che la nuova macchina non aveva bisogno di entrare in pressione come quella a vapore, ma bastava accendere e partire.
Non solo: nelle macchine a vapore per produrre la forza di un cavallo per ora il costo era di 12 centesimi, in quella di Barsanti e Matteucci di due. La scoperta era enorme: Barsanti e Matteucci che ne erano consapevoli, fondarono una società per lo sfruttamento del loro motore, il primo al mondo.
Ma solo l’Italia lo riconobbe tale. In Europa, si preferì invece utilizzare un simile brevetto depositato nel ’59 dal franco-belga Lenoir: inutili le proteste di Barsanti, visto che Francia e Belgio erano paesi industrializzati. Cosa poteva contro di loro un prete, italiano per giunta? Ciò non ostante una società mineraria di Liegi, nel 1864, decise di usare il motore di Barsanti che si precipitò in Belgio.
Furono fatti esperimenti che andarono a buon fine. La produzione stava per partire quando a Seraing (Belgio) dove si trovava per avviare la produzione del suo motore a scoppio, il Barsanti si ammalò di tifo e in pochi giorni morì, scippato del suo brevetto come accadde in quegli anni anche ad altri geni sfortunati come Meucci e Pacinotti. Con la morte di Barsanti si sciolse anche la società che ne portava il nome.
Questo prete scolopio, oltre ad avere intuizioni geniali e la caparbietà di realizzarle, capì per primo, che il motore a scoppio ci avrebbe cambiato non solo la vita, ma anche l’anima. E in una lettera a Papa Pio IX, una sorta di testamento spirituale, quasi arrivò a scusarsi se a causa della scoperta l’uomo si fosse ancor più distratto dalla vita contemplativa, abbracciando invece uno scopo solo materiale e terreno.
Ma pur tuttavia egli rimaneva convinto che alla fine avrebbe contribuito ad accrescere il livello morale e religioso del popolo e auspicava che potesse anche andare a vantaggio della Chiesa e della sua azione nel mondo.
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