XXXI Settimana tempo ordinario
Aforisma del giorno di M. Teresa di Calcutta
Se giudichi le persone, non avrai tempo per amarle.
Preghiera del giorno Salmo 118,1-8 (1.a parte)
Beato l’uomo di integra condotta, che cammina nella legge del Signore. Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore. Non commette ingiustizie, cammina per le sue vie. Tu hai dato i tuoi precetti perché siano osservati fedelmente.
Siano diritte le mie vie, nel custodire i tuoi decreti. Allora non dovrò arrossire se avrò obbedito ai tuoi comandi. Ti loderò con cuore sincero quando avrò appreso le tue giuste sentenze. Voglio osservare i tuoi decreti: non abbandonarmi mai.
Santo del giorno
S. Carlo Borromeo
Nato nel 1538 era il 2° figlio del Conte Giberto e, secondo l’uso delle famiglie nobiliari, fu tonsurato a 12 anni. Studente a Pavia, venne chiamato a Roma, dove fu creato cardinale a 22 anni. Fondò un’Accademia detta delle «Notti Vaticane». Inviato al Concilio di Trento, nel 1563 fu consacrato vescovo di Milano, diocesi vastissima che comprendeva terre lombarde, venete, genovesi e svizzere.
Il giovane vescovo la visitò in ogni angolo, preoccupato della formazione del clero e delle condizioni dei fedeli. Fondò seminari, edificò ospedali e ospizi. Utilizzò le ricchezze di famiglia per i poveri. Impose ordine nelle strutture ecclesiastiche, difendendole dalle ingerenze dei potenti locali e per questo fu obiettivo di un fallito attentato.
Durante la peste del 1576 assistette i malati. Appoggiò la nascita di istituti e fondazioni guidato dal suo motto: «Humilitas». Morì a 46 anni, consumato dalla malattia il 3 novembre 1584.
Parola di Dio del giorno Luca 16,1-8
Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”.
Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Il padrone lodò l’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce».
Riflessione del giorno dal libro: “Il giusto che inventò il morbo di K.” di Pietro Borromeo
All’alba del 16 ottobre 1943 soldati delle SS fecero un rastrellamento costringendo 1024 persone, tra cui centinaia di bambini, a salire sui treni dell’orrore per andare a morire ad Auschwitz. Qualcuno però riuscì a evitare i nazisti e a salvarsi, cercando rifugio sull’isola Tiberina dove il coraggioso dottor Borromeo, primario dell’ospedale, decise di ricoverarne quasi un centinaio.
Ovviamente bisognava compilare una cartella clinica per questi pazienti speciali. E così i tre medici, in particolare Vittorio Sacerdoti (che come ebreo era già stato vittima delle leggi razziali e lavorava all’ospedale sotto falso nome, protetto dal primario Borromeo), immaginarono una malattia devastante e contagiosa, il Morbo di K., dove la K. indicava in realtà Kappler, il disumano persecutore di Roma.
I finti malati furono messi tutti in un reparto speciale, in isolamento. La sera dello stesso giorno i nazisti arrivarono a perlustrare l’ospedale e trovarono i tre medici, Borromeo, Ossicini e Sacerdoti con mascherine sul volto, preoccupatissimi per lo scoppio dell’improvvisa e pericolosa epidemia.
I nazisti pretesero di vedere tutte le cartelle cliniche, ma alla richiesta del dott. Borromeo di andare a visitare personalmente i malati, ebbero paura del terribile morbo di K. e se ne andarono. E così tutti i finti malati ricoverati in isolamento si salvarono dall’orrore nazista. La storia non finisce qui: i 3 medici continuarono ad aiutare ebrei e partigiani.
Installarono una radio ricetrasmittente clandestina negli scantinati dell’ ospedale per restare in contatto con gli altri partigiani e con Radio Londra, dichiararono morti proprio per il morbo di K. i finti pazienti e procurarono loro documenti falsi per farli fuggire. Questi tre medici coraggiosi non arretrarono davanti all’orrore e alla paura perché, come non smetteva di ricordare nelle interviste dopo la guerra Adriano Ossicini: “Bisogna cercare di essere dalla parte giusta, sempre”…
Intenzione di preghiera per il giorno
Preghiamo per i sacerdoti defunti del Patronato S. Vincenzo.
Don’t forget! Storia dei martiri cristiani
I Martiri della Rivoluzione Francese
MARTIRI della VANDEA 1793 – 1815 (2.a parte)
Victor Hugo ha così evocato il tipo umano dell’abitante delle campagne e perciò anche della Vandea in epoca prerivoluzionaria: «Si pensi a questo selvatico, serio e singolare, a quest’uomo dagli occhi chiari e dai capelli lunghi, che si nutre di latte e castagne, di guardia al suo tetto di foglie, alla sua aia, al suo fossato, che distingue ogni villaggio da quello vicino dal suono della campana, che si serve dell’acqua solo per bere, che porta un abito di cuoio con arabeschi di seta… che venera il suo aratro e i suoi avi, che crede alla S. Vergine e alla Dama Bianca, che è devoto all’altare e all’alta pietra misteriosa in mezzo alla landa, lavoratore nella pianura, pescatore sulla costa, fedele ai Re, ai suoi signori, ai suoi preti; pensoso, immobile spesso, per ore intere sulla grande spiaggia deserta, ascoltatore del mare…
Le donne vivevano nelle capanne e gli uomini nelle cripte…improvvisamente andavano a farsi uccidere, lasciando la tana per il sepolcro…
I Bianchi inseguivano sempre; i Blu mai, perché avevano il Paese contro…Molti non avevano che picche, ma erano combattenti straordinari, spaventevoli, intrepidi. Il decreto di arruolamento di 300.000 uomini aveva fatto suonare le campane di 600 villaggi.
L’incendio scoppiò sotto tutti i ponti…Quando i contadini attaccavano i repubblicani, se incontravano sul campo di battaglia una croce o una cappella, cadevano in ginocchio e dicevano la loro preghiera sotto la mitraglia; finito il Rosario quelli che restavano si rialzavano e piombavano sul nemico…Quando attraversavano un bosco repubblicano, spezzavano l’albero della libertà, lo bruciavano e ballavano in tondo attorno al fuoco. Facevano 15 leghe (=70 Km) al giorno, senza piegare un’erba al loro passaggio.
Venuta la sera, caricavano i fucili, sussurravano le loro preghiere, levavano gli zoccoli e in lunga fila attraversavano i boschi a piedi nudi, sul muschio e sulle pagliuzze, senza un rumore, una parola, un soffio».
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