Ottava di Natale
Avvenne il 26 dicembre…
1898 – Pierre e Marie Curie isolano il radio.
1948 – Il cardinale Mindszenty viene arrestato in Ungheria
1991 – Il Soviet Supremo scioglie formalmente l’Unione Sovietica.
2004 – Uno tsunami sconvolge una vastissima area dell’Asia, con ripercussioni in Africa e Australia, causando almeno 230.000 vittime.
2009 – La Cina apre la più lunga ferrovia ad alta velocità al mondo tra Pechino a Guangzhou
Antifona
“Si aprono le porte del cielo per Stefano: il primo dei martiri, ha ricevuto in cielo la corona di gloria.”
Preghiera
Donaci, o Padre, di esprimere con la vita il mistero che celebriamo nel giorno natalizio di santo Stefano primo martire e insegnaci ad amare anche i nostri nemici sull’esempio di lui, che morendo pregò per i suoi persecutori.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen
Santo del giorno
Morto in seguiti a lapidazione a Gerusalemme, verso l’anno 33 o 34 ca. Stefano non solo è il primo dei martiri, ma il modello di ogni martirio: nella morte di santo Stefano appaiono tutti gli elementi ricorrenti ogni volta che qualcuno viene ucciso a causa della fede.
Il “fastidio” provocato in chi non comprende la saggezza del Vangelo, le “scuse” e le false accuse e poi l’aggressione e il perdono degli aggressori da parte dei martiri, oltre all’intaccabile fiducia di essere accolti tra le braccia di Dio.
La storia di Stefano ci ricorda che credere non è facile e che il Vangelo non è un semplice appello a essere “più buoni”, bensì un potente strumento per cambiare il mondo. Ecco perché destabilizza i potenti, che con ogni mezzo nei secoli hanno cercato di mettere a tacere la voce di chi porta il messaggio del Risorto.
Parola di Dio del giorno Matteo 10,17-22
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani.
Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.
Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato».
Riflessione
Ieri abbiamo celebrato la nascita nel tempo del nostro Re eterno, oggi celebriamo la passione trionfale del soldato. Ieri infatti il nostro Re, rivestito della nostra carne e uscendo dal seno della Vergine, si è degnato di visitare il mondo; oggi il soldato, uscendo dalla tenda del corpo, è entrato trionfante nel cielo.
Il nostro Re, l’Altissimo, venne per noi umile, ma non poté venire a mani vuote; infatti portò un grande dono ai suoi soldati: portò il dono della carità, che conduce gli uomini alla comunione con Dio. Quel che ha portato, lo ha distribuito, senza subire menomazioni; arricchì invece la miseria dei suoi fedeli, ed egli rimase pieno di tesori inesauribili.
La carità, dunque, che fece scendere Cristo dal cielo sulla terra, innalzò Stefano dalla terra al cielo. La carità, che fu prima nel Re, rifulse poi nel soldato. Per mezzo della carità non cedette ai Giudei che infierivano contro di lui; per la carità verso il prossimo pregò per quanti lo lapidavano.
Con la carità confutava gli erranti perché si ravvedessero; con la carità pregava per i lapidatori perché non fossero puniti. Sostenuto dalla forza della carità, vinse Saulo che infieriva crudelmente e meritò di avere compagno in cielo colui che ebbe in terra persecutore. Ecco che ora Paolo è felice con Stefano, con Stefano gode della gloria di Cristo, con Stefano esulta, con Stefano regna.
Dove Stefano, ucciso dalle pietre di Paolo, lo ha preceduto, là Paolo lo ha seguito per le preghiere di Stefano. Quanto è verace quella vita, fratelli, dove Paolo non resta confuso per l’uccisione di Stefano, ma Stefano si rallegra della compagnia di Paolo, perché la carità esulta in tutt’e due.
Sì, la carità di Stefano ha superato la crudeltà dei Giudei, la carità di Paolo ha coperto la moltitudine dei peccati, per la carità entrambi hanno meritato di possedere insieme il regno dei cieli. La carità dunque è la sorgente e l’origine di tutti i beni, ottima difesa, via che conduce al cielo.
Colui che cammina nella carità non può errare, né aver timore. Essa guida, essa protegge, essa fa arrivare al termine. Perciò, fratelli, poiché Cristo ci ha dato la scala della carità, per mezzo della quale ogni cristiano può giungere al cielo, conservate vigorosamente integra la carità, dimostratevela a vicenda e crescete continuamente in essa.
Intenzione di preghiera per la settimana
Preghiamo perché ci prepariamo la fedeltà a Gesù dimostrata da S. Stefano a costo della sua stessa vita, ci aiuti a praticare la fedeltà senza timore di nulla e di nessuno, se non del peccato.
Don’t Forget! Le più belle natività della storia dell’arte
DOMENICO GHIRLANDAIO: ADORAZIONE DEI PASTORI – tempera su tavola – 167×167 cm datato 1485 – Cappella Sassetti in S. Trinita – Firenze.
Nel 1485 Domenico Ghirlandaio, artista di spicco nella Firenze di Lorenzo il Magnifico, firmò una tempera su tavola rappresentante l’Adorazione dei Pastori per la Chiesa di S. Trinita a Firenze. Egli sviluppò su soffitto e pareti un duplice tema: la vita del Santo di cui il committente portava il nome, Francesco, e la storia della Salvezza che si conclude con la venuta di Cristo raffigurata nella pala d’altare che sopra vediamo.
L’iconografia tradizionale prevede che i pastori, inginocchiati o in piedi, circondino il Bambino cui portano doni umili, come l’agnello che fa pensare anche al buon Pastore. Sono tre, di solito, per analogia con i Magi. Almeno i protagonisti: spesso, infatti, in lontananza sono immortalati anche i loro colleghi con tanto di gregge e zampogne. Ghirlandaio, con la sua raffinata e personale cifra stilistica, segue il protocollo: Maria, Giuseppe e il Bambino sono affiancati da tre uomini che hanno preceduto gli altri pastori cui solo in quel momento un angelo sta dando il fatidico annuncio.
Tipicamente fiamminga è l’attenzione ai dettagli che in questo quadro danno simbolico agli oggetti e ai particolari della scena. Inginocchiata su un prato fiorito la Madonna adora Gesù Bambino adagiato all’ombra di un sarcofago romano che funge da mangiatoia. Questo elemento, così come l’arco di trionfo sotto cui passano i Magi e i pilastri scanalati che sostengono il tetto di paglia della capanna, alludono all’ambito culturale in cui è nato il cristianesimo che supera le religioni di ebrei e pagani, rappresentati, stando alla patristica, anche dal bue e dall’asinello. L’allegoria è ribadita da alcuni dettagli del paesaggio, sfumato in lontananza grazie all’uso della prospettiva aerea.
Sulla destra si intravvede la città di Gerusalemme e, di questa, la cupola della Moschea della Roccia davanti alla quale, però, un albero secco mostra i suoi rami spezzati. Sulla sinistra appare Roma la Città Eterna sintetizzata nei sepolcri dei due imperatori “profetici”, Ottavio Augusto e Adriano. Il profilo di Santa Maria del Fiore afferma, invece, il ruolo di Firenze quale seconda Roma. Sul fianco della collina si snoda il corteo festante che accompagna i re provenienti da Oriente. I Magi stanno seguendo la cometa, che si è già posata sul tetto della stalla, come testimonia il bagliore di luce che si intravede in alto: «Al vedere la stella, provarono una grande gioia» (Vangelo di Matteo).
Il sentimento della gioia si legge anche sui sorrisi accennati sul volto dei pastori e su quello, dolcissimo e sereno, di Maria. Il dipinto ha anche vari altri rimandi simbolici: la sella e il barroccio, per esempio, accanto alla Vergine, ricordare il viaggio da Nazareth, ma alludono alla fuga in Egitto della Sacra Famiglia. Le spighe di grano sul manto richiamano l’Eucaristia, e il cardellino che assiste all’Avvenimento preannuncia la Passione e la Resurrezione del Cristo. Testimoni di tutto ciò sono i pastori ritratti con vivace realismo. Di questi, quello che stupefatto indica il Bambino è l’artista stesso.
Le architetture classiche, ossia l’arco di trionfo e i pilastri corinzi che sorreggono il tetto della stalla, uno dei quali reca sul capitello la data (MCCCCLXXXV, 1485), stanno ad indicare che con la nascita di Cristo si assiste a un vero e proprio cambio d’epoca: il mondo classico-pagano inizia a tramontare mentre una nuova era, quella cristiana, è destinata a svilupparsi dalle sue macerie. I sassi squadrati su cui si è posato il cardellino alludono al nome della famiglia che commissionò l’opera, i Sassetti, appunto.
Nessun commento
È possibile postare il commento di prima risposta.