Ai sacerdoti, consacrati e fedeli della Diocesi.
Celebriamo l’80° anniversario della morte di don Antonio Seghezzi, avvenuta a Dachau, il 21 maggio 1945 quando era ancora assistente dei giovani di Azione Cattolica della nostra diocesi. A partire da questi giorni si terranno particolari celebrazioni soprattutto a Premolo, suo paese natale, e nei luoghi dove si è manifestata la sua esemplarità in un percorso di fede che si è fatto vita. Un viaggio durato 38 anni, unico e straordinario, segnato da sorprese, ostacoli, imprevisti e caratterizzato da incontri che l’hanno reso esemplare per tutti.



Le numerose testimonianze confermano che don Antonio era abitualmente sorridente e dolce, e sapeva affrontare anche situazioni difficili dimostrando un carattere entusiasta, frutto della speranza cristiana che egli viveva pienamente grazie a un cammino costante e fiducioso nella divina volontà, come amava ripetere: «Siamo nelle mani di Dio». Lo conferma uno dei «suoi» giovani di Azione Cattolica: «In ogni circostanza si abbandonava con fiducia e tranquillità a Dio che sempre provvede ogni bene a chi si affida a lui. Con il suo fare e il suo dire sollecitava anche noi ragazzi a crescere con la fiducia in Dio».
La prigionia e la malattia di don Seghezzi sono state il coronamento di un’esistenza trascorsa con ottimismo e nella gioia, e che sapeva infondere in chi incontrava e soprattutto nei suoi giovani, ai quali così si rivolgeva in un articolo: «Vi invito a vivere di fede. Abbiamo fede nella Provvidenza e vivremo nella letizia. Perseguitiamo dunque la melanconia e la romanticheria, che ci fanno sempre ripiegare su di noi e non ci lasciano guardare in alto, verso il cielo, verso Dio» (Credere, 11.2.1940). Lo attesta anche un altro testimone: «Don Antonio visse nella luce e nella verità del Signore. Fu tutto orientato al paradiso e abbandonato alla Provvidenza. Solo con questa forza affrontò con serenità e con prontezza le varie chiamate all’obbedienza del Vescovo Mons. Bernareggi e ogni genere di difficoltà. In lui la speranza cristiana si traduceva nell’ottimismo che trasmetteva ai giovani perché pure loro lo vivessero».
Don Seghezzi seppe affrontare i momenti di scoraggiamento, affidandosi a Dio senza riserve come scrive egli stesso nel Diario: «Camminare lungo la via, andare nel fango il passo è lento… i vetri degli occhiali si appannano… bisogna vedere ove porre il piede ma si cammina col bel cuore in Cristo… freschi di rosa preghiera, e l’occhio non ha bisogno di oggetti; si fissa nel Suo Unico Oggetto = Dio!… Primavera… sino a 700 d’altezza e salii. Anima mia ricordati che più ti fai preziosa più vigili sui tuoi occhi, sul cuore, sul labbro…» (25.3.1929).
In quanto prete, attingeva dalla celebrazione dei misteri di Dio, la forza per non lamentarsi e per manifestare un volto sereno, nonostante i normali disagi. Con la speranza soprannaturale don Antonio affrontò il fascismo e il nazismo, scegliendo di continuare la sua missione sacerdotale attraverso il servizio di Assistente vicino a tanti suoi giovani coinvolti nella guerra. Pur dinanzi al precipitare degli eventi, don Seghezzi seppe mantenere una non comune serenità interiore, alimentata da una confidenza filiale illimitata in Dio. Ecco quanto scrisse nel Diario: «Io non faccio disegni per l’avvenire, ma lo accetto come il Signore me lo manderà. Userò molte giaculatorie per stare in umiltà e ricorderò che Io sono tutto un dono» (5.8. 1940).
La fede di questo santo prete era sostenuta da un’ardente Speranza, che egli esercitò soprattutto nel tempo della prigionia, sopportando con esemplare e fiducioso abbandono alla volontà del Signore, sofferenze fisiche e morali, e infine la tubercolosi che lo portò alla morte. Anche nelle carceri non si perse d’animo, dando prova di saper vivere la virtù della speranza anche nel tenere alto il morale degli altri detenuti. Lo prova chi, arrestato insieme a don Antonio, parlandoci della comune prigionia nel carcere S. Mattia di Verona, racconta quanto è avvenuto la sera prima della loro deportazione in Germania, la vigilia di Natale 1943, in una situazione davvero drammatica: «In cella, don Antonio iniziò a cantare in gregoriano gli inni del Natale. In un primo momento alcuni prigionieri espressero sorpresa, quasi fastidio, poi la sorpresa si tramutò in partecipazione con la voce da parte di chi conosceva i canti e con il cuore da parte degli altri. Dai loro occhi, trasformati dall’atmosfera creata da don Antonio che, tra un canto e l’altro aveva parole di esortazione per tutti, traspariva serenità. Ricordo che le stesse guardie del carcere aprirono la porta della cella per sentire ed osservare la scena».
Seguiamo l’esempio di don Antonio Seghezzi sul come si vive e si muore in Cristo, servendo una grande causa. Ringraziamo il Signore del «passaggio» tra noi di questo autentico seminatore di speranza che ha lasciato ricordi indelebili sollecitando i presbiteri al servizio ministeriale dell’accompagnamento spirituale ed esortando i giovani a camminare ogni giorno per scoprire e incontrare Cristo, sostenuti dall’esempio di noi adulti per contagiare di speranza ogni nostra esperienza, ecclesiale e civile.
Nell’80° anniversario della morte di questo autentico testimone del Vangelo di Cristo, preghiamo insistentemente affinché, se a Dio piace, con la grazia di un miracolo si pervenga, quanto prima, alla beatificazione di don Seghezzi.
Il Venerabile don Antonio interceda da Dio il dono e l’aiuto di essere donne e uomini «pellegrini di speranza» nelle relazioni, con le parole e con le azioni.
+ Francesco Beschi
Vescovo di Bergamo
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