Una sera di fine febbraio 2020 la polizia porta alla Ciudad de los Niños di Cochabamba (Bolivia) una ragazzina: «L’abbiamo trovata che vagava da sola in città: pare si chiami Daniela… Prendetela e verificate chi è».
Il prete direttore e la «trabajadora social» (assistente sociale) riescono ad abbozzarne l’identità: si chiama Margarita, ha 10-11 anni ed è di Sucre, regione boliviana grande come Lombardia e Piemonte insieme.
Ma soprattutto scoprono che è vittima della «tratta» di minori dai villaggi più dispersi, affidati dalle famiglie a persone senza scrupoli con la promessa di farli studiare in città, ma destinati a diventare domestici a costo zero o, nel peggiore dei casi, avviati a prostituzione o traffico di organi.
Fuggita dalla casa della padrona, la piccola si era persa in città, ma aveva trovato nella casa di padre Antonio Berta la salvezza. Il padre e la sua collaboratrice decidono di riportarla a casa sua: facile a dirsi, non a farsi. Dopo 7 ore di jeep i tre giungono a Sucre, ma lì scoprono che il villaggio della bimba nessuno sa dove sia e che di località chiamate Kollane ce n’è più di una.
Fidandosi dei suoi ricordi azzardano una decisione: avanzando tra valli e montagne, lei si rianima riconoscendo il rio, il passo, il boschetto finché la strada finisce e in basso appare la casa: un cane abbaiando si precipita verso Margarita che corre da lui e i due si fondono in un abbraccio rotolando nell’erba.
Così dopo 5 ore di viaggio su piste impossibili, la bimba è restituita al papà e ai nonni. La missione è compiuta.
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