Dopo la Messa in suffragio del figlio e del marito, la signora, una donna minuta e anziana, mi avvicina: «Vivo con quel che resta della mia famiglia in un paesino di montagna di una provincia vicina ed è stata la mia amica bergamasca a portarmi qui».
E si mette a raccontare dell’incidente in cui era morto il figlio ventenne, sottolineando che «non c’è nulla di peggio che sopravvivere al proprio figlio» e ricorda come lei e il marito ogni giorno si recassero al cimitero a pregare e a parlare con lui.
Il papà aveva speso un capitale per un angelo di marmo con le fattezze del figlio e la tomba del ragazzo era diventata la più bella del cimitero. Alla scadenza dei 30 anni però i resti mortali del figlio erano stati posti nell’ossario. «A poco è servito far notare che mio marito aveva più di 90 anni e che non avrebbe retto all’eliminazione della tomba».
Come puntualmente avvenne: pochi mesi dopo si ammalò e morì. L’angelo di marmo era stato donato alla parrocchia e il papà nel testamento lasciò scritto che alla sua morte voleva essere cremato per riposare accanto al figlio.
«Ma neppure questo ci è stato concesso: le ceneri di mio marito infatti le hanno messe tre file sotto nostro figlio». Ciò accade quando una burocrazia che non guarda in faccia a nessuno, non conosce né la pietà per i morti, né il rispetto per la memoria dei vivi.
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