Due approcci opposti a un banale mal di pancia

     

    L’incaricata della cucina arriva al lavoro alle 6 del mattino, ma stavolta è in ritardo: «Ho passato la notte con nausea e vomito» si giustifica. Si fa iniettare una fiala di plasil e 20 minuti dopo si mette all’opera fino all’una del pomeriggio per preparare i 300 pasti quotidiani.

    Stessa mattina ore 7: un ospite telefona: «Non sto bene, continuo a vomitare». Chiedo a E. che inietti pure a lui il farmaco e lo rassicuro: «Un quarto d’ora e passa tutto». Ma non succede niente: lui si agita, smania, si dimena, si lamenta e continua a telefonare e a bere, per vomitare due minuti dopo e la cosa va avanti per ore. L’invito alla calma lo esaspera, finché due amici gli portano un intruglio africano: lo beve e piomba in un sonno profondo.

    Si sveglia alle 4 del pomeriggio, fa la doccia, mangia qualcosa e come se niente fosse dichiara: «Tutto passato: sto bene». Obietto: «Perché eri così agitato? Era solo un’indigestione!». Lui «Temevo di morire, invece ho avuto un very beautiful day». Sorpreso gli chiedo perché: «Perché non sono morto e tutti si sono preoccupati per me». Anche la signora della cucina aveva detto: «È stata una giornata dura, ma sono contenta» e aveva aggiunto «perché tutti hanno mangiato». E pure noi eravamo contenti, perché tutto è bene quel che finisce bene.

    Ma uno come Sant’Agostino a questo punto ci avrebbe ricordato che esistono due amori contrapposti: l’amor Dei che ti fa dimenticare di te stesso e l’amor sui di chi pensa soprattutto a sé stesso.

     

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