Educarci a riconoscere il bene e custodirlo

     

    Si sa che il calo delle vocazioni porta purtroppo anche alla chiusura di secolari monasteri e conventi. L’incaricato di sgomberare un convento vuoto, di fronte alla mole di lavoro che lo aspettava, chiese aiuto a gente di buona volontà.

    Ma siccome non sempre lo zelo si sposa col discernimento, pochi giorni dopo tra i rifiuti da mandare in discarica, il responsabile trovò di tutto: libri antichi, quadri devozionali e oggetti sacri compreso un crocifisso. Che un oggetto così sacro finisse al macero gli parve sconveniente: perciò lo tolse dai rifiuti e dopo averlo ripulito si accorse che la croce era di legno nero e il crocifisso di un materiale bianco tipo plastica.

    Decise di portarlo al suo parroco che si accorse di avere in mano una preziosa croce in ebano e avorio che fece restaurare, incorniciare e mettere in sagrestia. Il fatto mi è venuto in mente nei giorni della memoria sia della shoah sia delle foibe: contro chi nega che certi orrori siano avvenuti, tv e giornali hanno ripetuto in mille modi che: «Chi dimentica il passato è condannato a ripeterlo».

    Giusto, ma a me è venuto in mente anche quel che è scritto nel profeta Geremia: «Il malvagio è colui che quando viene il bene, non lo vede» (Ger. 17). Ed ho concluso che se la condanna degli orrori passati è doverosa, non basta però a evitare che l’orrore si ripeta.

    Bisogna anche educare noi stessi e gli altri a riconoscere il bene, a praticarlo, a custodirlo e trasmetterlo così da offrire ai giovani un’alternativa valida ed efficace alle condotte criminali.

     

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