Saper ascoltare è una virtù grande, ma difficile da praticare se uno non sa cosa vuole, come quel tizio che ce l’aveva su con tutti, perché – diceva – «nessuno dal Padreterno in giù mi ha mai dato una mano». L’ho ascoltato per un’ora e alla fine mi sono limitato a dirgli «Quand’ero in Bolivia un tale mi chiese di andare a benedire la sua casa.
Ci andai e mi condussero su per le scale fino al pianerottolo del terzo piano: «Da qui è caduto un nostro caro ed è morto» dissero. Notai che scale e pianerottolo non avevano le ringhiere ed erano immerse nel buio. «Il morto era anziano o malato?» chiesi. «No, era ubriaco» risposero. La nonna a questo punto pretese che scendessi in cantina a benedire anche quella «perché – disse – mi capita spesso di cadere quando ci vado».
Al fioco lume di una candela scendemmo ma fui io a cadere: guardai e mi accorsi che i gradini erano così irregolari che ogni volta a scendere si rischiava l’incolumità. Alla fine ci siamo messi d’accordo: «Facciamo così: prima voi fate mettere la ringhiera, livellare i gradini e installare la luce nelle scale.
Poi vi darò tutte le benedizioni che volete». «Perché mi racconta queste cose?» mi chiese l’interlocutore. Risposi: «Perché non puoi pretendere che Dio e gli altri facciano per te l’impossibile, se da parte tua non sei disposto a fare almeno il necessario».
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