Questo fatto è capitato anni fa, ma ultimamente situazioni come queste si ripetono spesso e fanno pensare. Stavo nel cortile di casa centrale del Patronato in attesa di una che aveva preso appuntamento con me, quando una signora si avvicina e fa: «Don Davide? È da tanto che volevo vederti».
Non ho idea di chi sia, ma ammetto che la mia età possa anche provocare certe defaillances della memoria. Aspetto che mi offra qualche spunto: lei parla e parla; io ascolto attentamente, ma dopo un quarto d’ora non so chi è né come si chiama.
Con lei c’è un adolescente, allora cerco di uscire dall’impasse chiedendole chi sia: «È Alex» fa lei. A questo punto la gaffe: «È suo figlio?» chiedo.
Lei ride: «Io non ho figli e lui è una lei». Vorrei mordermi la lingua e cerco di rimediare sforzandomi di essere il più cortese possibile e decidendo di parlar del più e del meno, cioè di niente.
Dopo mezz’ora di slalom fra le parole, le due se ne vanno soddisfatte di aver incontrato un imbranato così a modo, mentre io rimango con tutti i miei dubbi: chi è Alex e chi è quella donna? Non l’ho mai saputo.
Subito dopo arriva la signora a cui avevo dato appuntamento: «Scusi il ritardo» mi fa. E parla di suo figlio che la fa ammattire, ma parla anche di sé e della sua famiglia con sincerità e fiducia. «Ecco un caso normale» penso dentro di me.
Alla fine ho capito chi era la donna e chi suo figlio. Lei se ne è andata via sollevata e io contento di aver incontrato vere persone.
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