Giovedì 12 ottobre 2023

     

    XXVII Settimana Tempo Ordinario

     

    Aforisma di Carlo Acutis

    “Tutti nascono come originali, ma molti muoiono come fotocopie”.

     

    Preghiera salmo 1

    Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti, ma nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte.

    È come albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo: le sue foglie non appassiscono e tutto quello che fa, riesce bene. Non così, non così gli empi, ma come pula che il vento disperde; poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti, mentre la via degli empi va in rovina. Amen.

     

    Santo del giorno

    Figlio di Andrea e Antonia Salzano, Carlo nacque a Londra, dove i genitori si trovavano per motivi di lavoro, il 3-5-1991. Trascorse l’infanzia a Milano, circondato dall’affetto dei suoi cari.

    Frequentatore della parrocchia di S. Maria Segreta a Milano, allievo delle Suore Marcelline alle elementari e alle medie, poi dei padri Gesuiti al liceo, visse amando Gesù e la Vergine e attento ai problemi di chi gli stava accanto, anche usando le nuove tecnologie.

    Colpito da leucemia fulminante, la visse come prova da offrire per il Papa e per la Chiesa. Morì il 12-10-2006, nell’ospedale San Gerardo di Monza, a 15 anni. I suoi resti mortali riposano dal 2019 ad Assisi, nel Santuario della Spogliazione.

    L’anno seguente Papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto relativo a un miracolo attribuito all’intercessione di Carlo, che è stato solennemente beatificato ad Assisi il 10 ottobre 2020.

     

    Parola di Dio del giorno Lc 11,5-13

    Gesù disse ai discepoli: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.

    Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

     

    Riflessione di Massimo Calvi da “Avvenire”

    Su un sito di informazione è apparso il titolo: «Noi donne abbiamo il diritto di ubriacarci e mettere la minigonna». La dichiarazione è stata rilasciata da una persona famosa abbastanza da meritarsi lo spazio di una notizia.

    Apparentemente nella frase non c’è nulla di sbagliato, negli ultimi giorni si sono ascoltate molte affermazioni di questo tipo discutendo di abusi e violenze…ed è evidente che una donna, come chiunque, debba poter vivere la sua vita senza che lo stile o il comportamento inducano qualcuno a ritenere di poter limitare questa libertà. Ma un’affermazione pensata in difesa del diritto all’emancipazione può scivolare nel paradosso nel momento in cui si trasforma nella tutela del “diritto” all’ubriacatura.

    Pensiamoci bene: ubriacarsi – che si tratti di uomini o donne fa lo stesso– è veramente un diritto? È corretto e conveniente, cioè, diffondere l’idea che bere fino a perdere il controllo sia un diritto e non invece una semplice possibilità? Esiste il diritto di divertirsi, di stare con gli amici e le amiche, di uscire fino a notte fonda, di bere o fumare.

    Ma ubriacarsi, fino a non sapere più chi si è e dove ci si trova, è conseguenza di libertà che sconfina nell’autolesionismo, è la deriva tossica e la manifestazione di un disagio, un comportamento che può generare conseguenze gravi per sé e per gli altri. Cosa c’entra tutto questo con un diritto?

     

    Intenzione di Preghiera

    Preghiamo perché tanti la smettano di considerare i vizi, le dipendenze, l’autolesionismo ecc. diritti personali cioè dei valori e cerchino piuttosto di liberarsi da tali comportamenti aberranti.

     

    Don’t Forget! Santi e beati della carità

    BEATA Maria Catalina Irigoyen Echegaray 1848 -1910

    Maria Catalina nasce il 25-11-1848, a Pamplona, Navarra; è ultima di 8 fratelli e gemella del 7°. La sua famiglia, imparentata con quella di S. Francesco Saverio, è credente e osservante e Maria Catalina viene educata nell’Istituto delle Madri Domenicane, distinguendosi per la sua devozione filiale alla Madonna. Eletta presidente della Congregazione Figlie di Maria, nei momenti liberi visita l’ospedale per assistere anziani e abbandonati e in casa allestisce con alcune compagne un laboratorio per confezionare abiti da destinare ai bisognosi.

    All’età di 30 anni inizia a collaborare con le religiose Serve di Maria, la cui principale opera apostolica è la cura gratuita dei malati, un servizio diurno e notturno reso a domicilio, in cliniche, ospedali, dispensari e ambulatori (l’Istituto conta oggi 1.600 religiose distribuite in 115 comunità, ed è presente in 22 Paesi di Europa, America, Africa e Asia). Col passare del tempo il rapporto tra lei e la Congregazione si intensifica e consolida fino a fare domanda alla fondatrice, Maria Soledad Torres Acosta, d’esservi ammessa. Entrata come postulante a Pamplona nel 1881, si trasferisce poi a Madrid per il noviziato ed emette i voti nel 1883.

    Si prodiga nel servizio domiciliare ai malati, operando con carità, pazienza, determinazione. In quel periodo colera, pandemia influenzale e vaiolo mietono vittime nelle case, provocando l’abbandono dei malati da parte dei familiari per la paura del contagio. Incurante del pericolo, li assiste instancabilmente e la sua fama si diffonde in tutta Madrid, al punto che in alcune stanze vengono appesi cartelli con la scritta: «Se mi ammalo, a curarmi sia suor Maria Catalina».

    Dopo 23 anni di servizio agli infermi, per una grave forma di sordità deve rinunciare e assume il compito di raccogliere le offerte che i benefattori destinano al sostegno delle comunità della Congregazione. Le sventure però non sono finite. Nel 1913 le viene diagnosticata una tubercolosi ossea, che le causa tremendi dolori. La malattia le blocca il fisico, ma non il cuore e lo spirito: la sua vita diventa una continua preghiera per tutte le intenzioni che le vengono affidate dai tanti che la considerano «fonte di forza e porta per arrivare a Dio». Suor Maria Catalina si spegne il 10 ottobre 1910.

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