XIX settimana Tempo Ordinario
Aforisma di S. Girolamo
“Comincia fin da ora ad essere quello che sarai in futuro.”
Preghiera
Dio onnipotente ed eterno, guidati dallo Spirito Santo, osiamo invocarti con il nome di Padre: fa’ crescere nei nostri cuori lo spirito di figli adottivi, perché possiamo entrare nell’eredità che ci hai promesso. Per il nostro Signore Gesù Cristo che vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen
Santo del giorno
S. EUSEBIO PAPA
Eusebio nato in Grecia, figlio di un medico, fu il successore di papa S. Marcello I. Durante il papato del suo predecessore era sorto un profondo disaccordo all’interno della Chiesa romana su come comportarsi con i lapsi che, durante la persecuzione diocleziana, chiedevano il perdono. Eraclio e i suoi sostenitori erano a favore del perdono immediato, opponendosi al papa che favoriva i sacerdoti che la ritenevano opportuna.
I lapsi arrivarono a proporre Eraclio come antipapa. Questa disputa si protrasse durante il suo papato. Il contrasto era così acceso che l’imperatore Massenzio bandì dalla città sia Eusebio che Eraclio: Eusebio andò in Sicilia, dove morì quasi subito. Fu questo il motivo per cui per un periodo venne venerato come un martire. Massenzio, al contrario, aveva mandato in esilio sia lui che il suo predecessore, Marcello 1, proprio per evitare di procurare loro l’onore del martirio.
Parola di Dio del Giorno Matteo18,21-19,1
Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi.
Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”.
Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato.
Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».
Riflessione da www.gli scritti
Esiste un dramma, sovente dimenticato, che è costretto a vivere il prete che rende la “sua” proposta pastorale troppo legato alla propria persona. Un dramma a cui costringe la sua comunità nel tempo a venire. Chi personalizza troppo vedrà svanire, dopo la propria partenza, dopo la propria promozione ad altro incarico, tutto ciò che ha fatto nel giro di un breve lasso di tempo. Perché chi viene dopo è obbligato a modificare le cose, perché così come le ha immaginate quel prete sono improponibili, perché sono troppo legate al suo modo di fare e alla sua visione delle cose.
La forza di una parrocchia – ma anche di una diocesi – sta nella sua ordinarietà, nel suo non ammettere troppe personalizzazioni, nel rimanere nei solchi della tradizione, di modo che tutto possa poi proseguire. Dove, invece, tutto viene proposto come originale e assolutamente nuovo, ecco che svanirà nel giro di breve tempo. Quel prete sarà condannato a veder morire tutto ciò che ha fatto, nel migrare da un luogo a un altro, e quelle comunità in cui ha vissuto saranno obbligate a rendersi conto che la vita cristiana è un’altra cosa.
Intenzione di preghiera
Preghiamo per tutti i sacerdoti impegnati nel ministero parrocchiale perché Dio li aiuti.
Don’t Forget! Uomini di Carità
Padre Libero Raganella 1914-1990
Ragazzino della periferia addossata alle Mura Aureliane sulla Tiburtina, si confrontava con i suoi amici in «zuffe memorabili» sui “Prati del Policlinico” prima che quei campi fossero occupati dall’Università e dal Ministero dell’Aeronautica. Le due bandiere sventolarono liberamente fino al 1922, ma dopo la marcia su Roma, non fu più possibile. Il piccolo Libero frequenta l’Opera Pio X e la parrocchia: accanto alla chiesa, ogni pomeriggio un nugolo di ragazzini si scatena attorno a un barattolo che fa da pallone e in cento altri divertimenti fatti con niente. A una cert’ora viene spalancato il cancello dell’Opera Pio X gestita dai padri Giuseppini: là c’è l’oratorio, una scuola elementare maschile, la Società ginnico-sportiva “Spes”, altalene e scivoli… «Noi ragazzi amavamo quei sacerdoti.
Si stimavano come nostri fratelli maggiori». Libero, dopo il seminario, il 30-6-1940 è ordinato prete. Da quel giorno, ogni mattina alle sette è sull’altare della chiesa parrocchiale. «La mia giornata era occupata da due attività: la scuola e la società ginnico-sportiva “Spes”» che egli porterà agli antichi fasti. Il 19-7-1943 padre Libero alle 7 del mattino aveva celebrato Messa. Poi il sordo tuono degli aerei. Le prime bombe erano già cadute sul quartiere e lui già correva per aiutare chi aveva bisogno: quel gigante dai modi bruschi stava già confortando i cuori e sostenendo con la sua presenza la precaria speranza che si potesse ricominciare, in mezzo a tanto male e dolore. A questo primo bombardamento ne seguiranno altri 51 e i morti si conteranno a migliaia: lo stesso Papa Pio XII si recherà di persona a consolare i superstiti.
Il 16-10-1943 è la volta degli ebrei: don Raganella si trova con un gruppo di ebrei in fuga, nei pressi della stazione Termini. C’è vicino il monastero di clausura di S. Susanna. La superiora fa qualche resistenza ad accogliere anche gli uomini, ma don Raganella le dice: “Madre, lei non deve aprire la porta, deve solo togliere il catenaccio. La porta la forzo io. Non sarà stata lei a rompere la clausura, ma solo io”. Non si limita a mettere in salvo solo gli ebrei, ma anche i comunisti che non hanno mai avuto a che fare coi preti, ma lui non lo dimenticheranno più. Grazie a lui che li nasconde nei locali dell’Opera Pio X e nel vicino convento delle suore di Maria Consolatrice, hanno salva la vita ebrei, antifascisti, soldati alleati. Tira fuori dai guai anche cinque militari inglesi.
Dopo la Liberazione fa rilasciare alcuni fascisti che stanno per essere condannati dal tribunale del popolo e li salva da una brutta fine grazie alla sua amicizia col capo dei comunisti locali. A S. Lorenzo (fu sottolineato da un giornale nel 1980) “nessuno fu preso” e furono evitate le vendette che sono triste eredità della guerra». Nel dopoguerra Libero continua la sua attività: conosce ladruncoli, scommettitori, giocatori…e tutti possono parlargli e spesso è l’unico intermediario fra carcere e famiglia, l’unico chiamato al capezzale…I suoi parrocchiani, organizzano una manifestazione al grido di «Aridàtece padre Libero!» quando, nel 1957, sarà trasferito a S. Paolo fuori le Mura, dove diventa assistente spirituale della Roma calcio. Tornato a S. Lorenzo non si muove più e la domenica in cui muore, il 18-2-1990, di sicuro molti a S. Lorenzo guardarono per un momento il cielo…Lassù se chiedi una mano, non devi dichiarare prima da che parte stai. Ma padre Libero questa cosa l’aveva sempre saputa.
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