21.a Settimana Tempo Ordinario
Proverbio del giorno
Attraverso le lacrime, gli occhi vedono bene gli dei.
Preghiera del giorno S. Efrem il Siro
In questo giorno in cui ciascuno Ti porta come offerta le sue vittorie sul male, io sono stato male, Signore, quando mi sono accorto di starmene lì, davanti a te, povero di tutto, senza niente da offrirti.
Allora ti ho offerto la mia povertà e la tua Rugiada inondò il mio spirito e fu come una nuova Pasqua. I suoi fiori: ecco i miei doni…come corone intrecciate posate alla porta del cuore.
Benedetta la Nube della tua misericordia che mi ha donato la pioggia del tuo perdono e i frutti della tua grazia. Amen.
Santo del giorno
ALESSANDRO DI BERGAMO Martire. Patrono di Bergamo, vissuto a cavallo del III e IV secolo. Dopo essere stato comandante di centuria della legione Tebea, è spostato in Occidente, dove gli viene ordinato di ricercare i cristiani contro i quali è in atto una persecuzione.
Di fronte al rifiuto suo e di alcuni compagni segue la decimazione, ma riesce a salvarsi. Scappa a Milano dove è riconosciuto e incarcerato.
Grazie a S. Fedele, che organizza la fuga, si rifugia a Como e infine arriva a Bergamo. Qui inizia la sua opera di predicazione e conversione di molti cittadini, tra cui i martiri Fermo e Rustico.
Ma nel 303 Alessandro, scoperto e catturato, è condannato alla decapitazione il 26 agosto a Bergamo, dove ora sorge la chiesa di Sant’Alessandro in Colonna.
Parola di Dio del giorno Matteo 24,42-51
Gesù disse ai suoi discepoli: «Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa.
Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo. Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito?
Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni.
Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda”, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti».
Riflessione del giorno (Martino Vitali)
La rassa Bergamasca
Caràter de la rassa bergamasca:
fiàma de rar, sóta la sènder brasca.
Ma, pör in mèss a ú mónd de barlafùs,
la gh’à tant ‘ótre róbe ch’i sberlüs.
Prima de töt, l’è zét che la laùra,
che parla poc, ma franc e sensa pura,
che la ghe dà fidücia al forestèr,
basta che l’ righe drécc sö ‘lsò sentér.
La sìes de mut, d’colina o de pianüra
lé la ghe té de fa bèla figüra.
Se gh’è de ötà vergü, tra fò ‘l borsèl
se ‘n quac momèncc gh’è de riscià la pèll
a s’tira miga ‘ndre: col cör in mà
la dà ‘l so esempe de fraternità.
Fiama de rar… ma quando la se ‘mpìa
l’è mei che i g’àbe a sinsigàla mia…
chè l’ pöl söcéd che ‘ntat che ‘l föc a l’brüsa
vergü l’ se scòte e po’ … l’ domande a’ scüsa
Gente bergamasca
Carattere della gente bergamasca:
s’ arrabbia di raro, ma sotto la cenere, la brace.
Ma, pure in mezzo a un mondo di gente volubile,
possiede tante altre virtù che luccicano.
Per prima cosa, è gente che lavora,
che parla poco, ma franco e senza paura,
che da subito fiducia al forestiero,
basta che non esca dal suo sentiero.
Sia di montagna, di collina o di pianura,
ci tiene sempre a far bella figura.
Se c’è da aiutare qualcuno, tira fuori il borsello
e se qualche volta c’è da rischiare la pelle
non si tira mai indietro: col cuore in mano
dà sempre esempio di fraternità.
Fiamma di raro…ma quando si accende
è meglio che non venga provocata troppo…
perché può succedere che mentre la fiamma brucia qualcuno si scotti e poi… chieda scusa…
Intenzione di Preghiera del giorno
Preghiamo per la nostra diocesi, il Vescovo, il clero e tutto il popolo bergamasco perché custodiamo il dono della fede, speranza e carità che i nostri santi ci hanno testimoniato e trasmesso.
Don’t Forget! Santi e beati della carità
Don Giuseppe (Bepo) Vavassori 1888-1975
Nato a Osio Sotto nel 1888, Giuseppe Vavassori, quinto di 17 figli, fu ordinato sacerdote nel 1912. Operò in alcune parrocchie dell’Alta Val Brembana prima di diventare cappellano delle truppe durante la 1.a Guerra Mondiale.
Ricevette decorazioni ed encomi per la sua generosità nell’assistenza ai soldati. Tornato dal fronte, fu prima parroco a Olmo Al Brembo e poi direttore spirituale in Seminario.
Incaricato dal Vescovo di seguire 12 ragazzi problematici che vivevano nel Patronato S. Vincenzo, che allora aveva sede in Città Alta, fece di questo “lavoro marginale” l’opera della sua vita.
Rifondò il Patronato, trasferendolo in via Gavazzeni, e nel corso dei decenni accolse almeno trentamila orfani e giovani che non avevano un’istruzione e un lavoro.
Fu anche cappellano del carcere e per alcuni anni direttore de L’Eco di Bergamo. Prima e durante la Seconda Guerra Mondiale il Patronato diede asilo a bambini ebrei, a partigiani, a politici di ogni colore che venivano travestiti da preti.
Don Bepo osvenne anche arrestato per questo, tradito da uno dei suoi ragazzi, al quale però non rimproverò mai nulla. Il Patronato col passare del tempo allargò ancor più le sue braccia aprendo centri di accoglienza in diversi paesi della provincia.
Per dare una casa ai suoi “figli” che stavano crescendo don Bepo realizzò il “Villaggio degli Sposi”, oggi popolato quartiere di Bergamo.
L’ultima sua impresa fu la missione diocesana in Bolivia: un suo sacerdote, don Antonio Berta, a Cochabamba fondò “La Ciudad de los Niños”.
Il segreto di don Bepo era la fede nella Provvidenza che egli vide agire come «una madre che ci culla nelle sue braccia».
Molti, anche fra i sacerdoti, si preoccupavano del suo continuo indebitarsi per dar vita a nuove imprese. Lui, sorridendo, rispondeva così: «Se facciamo i conti con i criteri dei ragionieri, che sono criteri umani, a volte diversi da quelli di Dio, non andremo molto lontano. Bisogna sempre lasciare uno spazio alla Provvidenza.
Altrimenti come fa a intervenire?». E il vescovo di quel periodo, a chi gli osservava che don Bepo non rispettava le sue disposizioni rispose: «È più grande di noi, bisogna lasciarlo fare».
Don Bepo è morto il 5 febbraio 1975 e l’Eco di Bergamo così ne diede la notizia:
Ieri alle ore 10.45, vicino all’età di 87 anni, don Giuseppe Vavassori, fondatore del Patronato San Vincenzo della nostra città, ci ha lasciato. E’ una notizia tristissima che ci aspettavamo, purtroppo, da quando venerdì, festa di don Bosco, nel giorno che gli era più caro, l’autolettiga della Croce Rossa lo aveva portato via dai suoi ragazzi smarriti, dopo un collasso che non lasciava speranza; ma questo non attenua minimamente il dolore nostro in quest’ora, di migliaia di giovani e di uomini che lo piangono come fosse improvvisa la scomparsa, di Bergamo che perde la figura che, dopo Papa Giovanni, l’ha più onorata in quest’ultimo mezzo secolo. Senza con ciò sminuire nessuno, si può dirlo con piena verità: è il nostro don Bosco, una figura da accostare al Palazzolo, a don Orione, a don Guanella, a don Murialdo, a don Botta, a Padre Orisio, cioè alle grandi figure dei sacerdoti della carità.
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