Il dolore e il bisogno di un «paracadute»

     

    Dopo aver visto fatti come l’orrenda strage di Israeliani a opera di Hamas, la reazione di Israele con migliaia di morti e la barbara uccisione di Giulia che ha commosso l’opinione pubblica, è inevitabile che uno si chieda il perché di tanta ferocia e dolore.

    Io mi sono concentrato sulla vicenda dei due giovani e ho chiesto a varie persone cosa ne pensassero: le risposte sono state tante e diverse. Ma due mi sono rimaste impresse.

    Un nonno: «Quando è uccisa una donna si accusa la mentalità maschilista e patriarcale ed è vero. Ma in questo caso l’assassino è un ventenne “senza radici e senza ali” che vive solo nel presente, chiuso su sé stesso e incapace di controllare le sue pulsioni: per uno così, è alto il rischio che arrivi a uccidersi o a uccidere. Lui ha scelto la seconda opzione».

    Una mamma: «Ho tre figli e queste cose mi fanno paura; per questo prego per la famiglia di Giulia, ma anche per quella di Filippo. Credo però che il nostro mondo non sia più attrezzato per affrontare i problemi nel modo giusto: crisi e conflitti spesso diventano drammi perché, avendo eliminato Dio dall’orizzonte della vita, ci siamo illusi di non avere più bisogno del “paracadute” della grazia divina che ci aiuterebbe invece a planare senza rischi nella realtà e ci proteggerebbe dalle pericolose derive dei nostri errori».

     

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