Questi episodi, capitati anni fa, hanno come protagonisti due preti bergamaschi dal grande cuore. Avendo donato la vita ai poveri e bisognosi, trovavano aperte le porte di istituzioni, autorità, forze dell’ordine a cui bussavano per cercare di togliere dai guai chi vi si trovava.
Primo episodio: dopo aver raccattato dalla strada dei vagabondi, il don li aveva rassettati alla bell’e meglio e dopo non poche insistenze li aveva convinti a trovarsi un lavoro: «Non preoccupatevi – disse – penso io a tutto: voi venite lavati, ben vestiti, sobri e lasciate parlare me. «Fi’ giudeze ’ntat che ve ende». Non si sa come sia andata a finire, ma è probabile che sia riuscito a piazzarli.
Secondo episodio: una signora si era rivolta allo stesso don lamentando che la polizia le avesse ritirato la patente per una piccola infrazione e che non poteva più lavorare per mantenere i figli. Il prete, senza farsi troppe domande, ottenne che i documenti fossero restituiti alla donna che aveva così ripreso il lavoro notturno sulla strada soddisfacendo alla fame dei figli e agli «appetiti» dei clienti.
L’altro prete, un missionario in America Latina, in una predica aveva lamentato il fatto che una mamma fosse finita in carcere, lasciando i figli da soli. «Per che cosa poi? Perché le hanno trovato in casa un chilo e mezzo di cocaina!».
Questo vuol dire che i sacerdoti sono sciocchi creduloni? No. Significa che – dove occorre – cercano di seguire la legge dell’Amore, con la «A» maiuscola.
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