La libertà non può andare in fumo

     

    Mi capita spesso di raccogliere nel cortile del Patronato i pacchetti di sigarette vuoti per gettarli nel cestino e ammetto di rimanere perplesso per la pubblicità choc degli stessi, pensando al mio amico fumatore che né i costi, né i danni, né le conseguenze del fumo avevano mai convinto a smettere.

    I rimproveri di amici e familiari lo incaponivano ancor più «perché -diceva – c’è di mezzo la mia libertà». Ne aveva fatto una questione di principio e avrebbe continuato a fumare anche se non ci avesse più provato gusto. Finché una notte (me lo confessò forse perché ero un prete) tornando a casa a piedi su un sentiero, esasperato a causa della discussione con gli avventori del bar per la questione del fumo, prese il pacchetto di sigarette e lo lanciò in una siepe.

    Andato a letto, non riusciva a prendere sonno; attese che la moglie fosse addormentata e, senza far rumore, uscì a cercare le sigarette gettate via. Percorse il sentiero in lungo e in largo, cercò tra le siepi con la torcia del telefonino… ma del pacchetto neppure l’ombra.

    Un’ora dopo, tornando a casa a mani vuote, sentì vergogna di sé stesso: «Non i soldi, né la salute, né i rimproveri né la pubblicità erano riusciti fino ad allora a farmi star male – spiegò – ma l’essermi accorto per la prima volta in vita mia che un pacchetto di sigarette era diventato il padrone della mia libertà». E da allora non ha più fumato.

     

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